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Posts written by Bororo

view post Posted: 21/2/2010, 09:53 Omero in Finlandia - Archeologia e Misteri dal Passato
CITAZIONE
Uno dei più antichi ed importanti dibattiti della cultura occidentale, la questione omerica, si è ulteriormente riacceso in questi ultimi tempi in seguito sia alle nuove indagini archeologiche di alcuni ricercatori tedeschi sul sito delle rovine scavate da Schliemann in Turchia, sia in seguito alle rivoluzionarie conclusioni raggiunte da Felice Vinci che sposta geograficamente e cronologicamente l'ambientazione dei poemi omerici, non più nel Mediterraneo del 1200 a. C. ma nella Scandinavia del 2000 a. C. Se fra gli stessi archeologi più tradizionalisti c'è ancora chi dubita che le rovine di Hissarlik possano appartenere alla Troia dell'età ellenistico-romana (e men che meno alla Ilio omerica), dall'altro versante le ricostruzioni di Vinci hanno destato sia apprezzamento e interesse ma anche critiche e contrarietà. In questo articolo si propone una terza via, non certo come comodo compromesso per accontentare tutti, ma come seria analisi sulla travagliata composizione dell'Iliade e dell'Odissea nel corso di almeno un millennnio.

Istoria, il vocabolo greco che significa "storia", sotto il punto di vista filologico deriva dall'unione di altri due termini: istos ovvero "tessuto" (o ancor meglio "tela") e reo, cioè il verbo "scorrere", in questo caso nel senso di "filare per tessere" (una differente interpretazione etimologica che lo fa derivare da histoor, cioè "testimone" o "giudice" non è da preferire in quanto istoria è una parola chiaramente composta, e caratterizzata dalla "omicron" e non dalla "omega"). Similmente al lavoro delle proprie donne ai telai, per i greci arcaici che cominciarono a coniare i concetti ed i termini astratti da consegnare ai propri discendenti – e alla civiltà occidentale – la storia era sostanzialmente un intreccio di vite e vicende di uomini, città, e popoli "tessute" più dal Fato e dagli Dei che dalla volontà umana. Anche le tetre Parche, signore appunto del Fato, dipanavano come un filo la "storia" di ogni mortale fino all'imperscrutabile decisione di reciderne la vita.

Ma se la storia di popoli e città, come la vita degli uomini, era un intreccio fino a formare un tessuto, esso poteva venir simbolicamente "dipanato" in forma di poesia cantata dagli aedi o rapsodi come Omero. E' significativo che il termine greco rapsodos derivi dal verbo raptein, ovvero cucire: questi cantori, tramandavano, ma anche rimaneggiavano unendo canti e miti differenti (chiedendone aiuto alla Musa!) la memoria storica collettiva in un'epoca di generale analfabetismo, in cui ancora pochi conoscevano nel mondo greco le prime forme di scrittura – come la cosiddetta lineare B - precedenti la diffusione della scrittura alfabetica classica, dall'VIII sec. a. C. in poi. L'autore dell'Odissea in questo poema ci presenta due di questi suoi "colleghi": Femia, cantore in mezzo ai Proci nella reggia di Ulisse, e il cieco Demodoco alla corte dei sovrani Feaci. Il primo canta del difficile ritorno a casa di molti greci dopo la caduta di Troia, oggetto di un ciclo di poemi (cosiddetti nestòi) a noi non giunti. Il cantore alla reggia dei Feaci invece dopo aver narrato della lite fra Achille e Odisseo (episodio non riportato da nessuno dei due poemi, ed altrimenti sconosciuto) racconta del famoso episodio del cavallo. E' appunto la narrazione epica che fa Demodoco di questa storia e della caduta di Troia a commuovere Ulisse e ad indurlo a diventare a sua volta egli stesso cantore e dipanatore del filo della memoria, cominciando così a narrare le sue disavventure (libro IX).

Prima però che Omero faccia entrare in scena il suo eroe nell'isola della ninfa Calypso, nel secondo capitolo dell'Odissea riporta un celebre episodio, che come una felice allegoria rende conto del significato e della struttura dell'intero poema, oltre che rappresentare una metafora filologica del concetto di storia come azione e come memoria, come futuro e come passato. Per guadagnare tempo contro le pretese dei Proci, la moglie di Ulisse, Penelope, si impegna nella tessitura di un telo funebre da donare al suo vecchio suocero Laerte, il padre del divino Odisseo, dichiarando che avrebbe fatto la scelta di un nuovo sposo una volta terminatolo. Com'è noto, durante la notte tuttavia disfa tutto quanto ha filato di giorno, in maniera da ingannare i pretendenti e dare il tempo al proprio amato marito di fare ritorno. Se l'Iliade è il poema del destino ineluttabile al quale sono assoggettati gli eroi come Achille, Ettore e la medesima città di Priamo, il secondo poema è invece meno pessimista concedendo ad ogni mortale la possibilità di lottare contro le avversità, disfacendo la trama luttuosa della sorte contraria con l'aiuto della propria astuzia, della propria versatilità (polùtropos, attributo di Ulisse) ed ovviamente anche dell'aiuto dei numi favorevoli: Atena, Apollo, Ermes, e via dicendo. Ma la tessitura diurna di Penelope è anche metafora – come si è detto – della storia agita, vissuta, e intrecciata con quella di altri uomini e città. Viceversa la sua nascosta e più importante attività notturna è sinonimo non solo della narrazione rapsodica della storia ri-vissuta con la parola, ma anche della struttura medesima del poema, quasi un avvertimento dello stesso Omero ai suoi lettori, che di lì a poco si cimenterà con i ricordi dello stesso Ulisse, in una narrazione all'interno della narrazione, ovvero con quello che oggi noi chiamiamo in termini cinematografici, "flash-back".

Una questione sorta già nell'antichità.

Come giustamente hanno fatto notare gli studiosi, l'Odissea è infatti un'opera atipica, non solo fra i due poemi attribuiti ad Omero, ma all'interno del panorama di tutta la letteratura greca. Gli scrittori greci amavano redigere anche i trattati storici in una forma unitaria, lineare e progressiva. Il poema di Ulisse è invece suddiviso in tre parti principali: le ricerche di suo figlio Telemaco, le disavventure dell'eroe per il suo ritorno in patria, e la lotta contro i Proci una volta giunto ad Itaca. E all'interno di questi tre blocchi principali, non mancano naturalmente excursus, flash-back, protagonisti improvvisamente "messi in pausa" per dar voce ad altri personaggi e narrare altre vicende. Più che l'Iliade, l'Odissea è l'opera che – all'interno della millenaria "questione omerica" - confermerebbe quanto sostengono i critici definiti "analitici", ovvero la nascita di tali opere ben prima di Omero – se mai realmente esistito - tramite la progressiva giustapposizione di singoli racconti tramandati in forma orale da generazioni di cantori, che celebravano individualmente le gesta di questo e quell'altro eroe (De Romilly, 1998).

La Grecia al tempo di Omero Che la gestazione dei due poemi omerici abbia attraversato in origine una fase di composizioni orali sembra accertato anche da molti elementi interni al loro stile, come le ripetizioni di appellativi, frasi fatte, modi di dire identici in ogni parte dei due poemi ("Aurora dalle rosee dita", "il mare color del vino", ecc.). E del resto un lungo lasso di tempo di almeno cinque secoli – dal 1260 a. C. (o giù di lì) fino all'VIII sec. - separarono secondo gli stessi scrittori antichi la Guerra di Troia dal periodo in cui visse il misterioso Omero; dunque impossibile non pensare ad una trasmissione orale delle due epopee precedentemente alla loro prima stesura scritta avvenuta forse proprio nello stesso periodo dell'adozione della scrittura alfabetica da parte dei Greci, ovvero proprio nell'VIII sec. a. C. Secondo il parere degli studiosi "neoanalitici" visse realmente in Asia Minore un poeta, o un gruppo di poeti, che in quel periodo si preoccupò di selezionare, ordinare, rielaborare ed infine fissare su papiro in forma coerente ed unitaria la gran massa di storie circolanti sulla guerra avvenuta cinque secoli prima e sulle disavventure occorse ai protagonisti principali dopo la caduta della città (fra le quali ultime, unica opera sopravvissuta fu quella dedicata appunto ad Ulisse). In questa maniera le città elleniche poste sulla sponda egea dell'Asia Minore (Mileto, Samo, Rodi, ecc.) intendevano mantenere e rinsaldare anche culturalmente i legami con la loro madrepatria di origine, così come una ulteriore stesura in forma scritta per ordine di Pisistrato ad Atene nel VI sec. a. C. si svolse in concomitanza con la conquista dell'Ellesponto da parte del tiranno ateniese: la possibilità di controllare l'accesso al Mar Nero, al suo grano ed ai suoi ricchi mercati doveva essere degnamente celebrato nella città della dea Atena, patrona di Ulisse. I redattori incaricati da Pisistrato tuttavia non si astennero dall'effettuare ulteriori rielaborazioni ed aggiunte, come si ha prova nel caso ad esempio di un capitolo dell'Iliade, il X, dove si parla della spia troiana Dolone scoperta e uccisa da Ulisse e Diomede. Ma le manomissioni del testo tuttavia non cessarono nemmeno dopo tale data, e nel corso dei secoli successivi, diversi critici e letterati, il più noto dei quali fu Aristarco di Samotracia (216 a. C. - 144 a. C.) rimaneggiarono più volte i due poemi. Si ritiene che solo negli ultimi due secoli prima dell'era cristiana venne definitivamente fissato il testo di entrambi i poemi, quello che sostanzialmente possiamo leggere ancora oggi: si può spiegare così ad esempio come nell'Iliade il dio fabbro Efesto costruisca robot dorati (autòmati, nel testo greco), sia in forma di oggetti (tripodi) sia sotto forma di ancelle da cui viene servito come fossero schiave, suggerendo che tale descrizione venne aggiunta negli ultimi secoli prima dell'era volgare, quando simili meccanismi pieni di ingranaggi venivano costruiti dagli scienziati alessandrini Erone e Ctesibio (Burgio, 2006).

Nonostante tuttavia i secoli di riedizioni, correzioni, rielaborazioni e sistemazioni varie, tanto l'Iliade quanto l'Odissea risultano ancora pieni di incoerenze, contraddizioni ed anacronismi geografico-temporali. Non si comprende ad esempio perché nell'Iliade una sfida a singolar tenzone tra Paride e Menelao nel canto III venga ripetuta fra due diversi contendenti, ovvero Ettore e Aiace nel canto VII, come se la prima non fosse mai avvenuta. Ed ugualmente ci si chiede perchè sempre nell'Iliade Achille nel canto XVI confidi in una ambasceria da lui precedentemente rifiutata. Un personaggio, Pilemene nel canto V del poema troiano rimane ucciso, ma nel XII torna a vivere, mentre al contrario il muro edificato dagli Achei a difesa del proprio campo figura nei canti VII e XII ma scompare nel resto dell'Iliade.

Cavallo di Troia Le maggiori perplessità tuttavia riguardano gli elementi dell'ambiente in cui si svolge l'azione in entrambi i poemi, poiché tanto i critici antichi quanto quelli contemporanei sono unanimi nell'affermare che i luoghi descritti da Omero non corrispondono se non molto approssimativamente con la geografia del Mediterraneo. Il Peloponneso viene descritto come un'isola, l'Isola di Pelopo appunto, mentre sappiamo che soltanto ai nostri giorni un geografo pedante potrebbe dichiararla tale in seguito al taglio dell'Istmo di Corinto. Fino al XIX secolo – e tanto più nell'epoca di Omero! - era saldamente unito alla terraferma, e non si capisce neppure perché venga descritto sostanzialmente pianeggiante dal momento che è talmente montuoso che molte regioni interne ancora fino a qualche secolo fa restavano isolate per le difficoltà dei collegamenti. Identico discorso vale per Itaca ritratta con caratteristiche differenti dall'isola greca bagnata dal Mar Ionio. Anche le distanze relative tra i differenti luoghi geografici appaiono spesso incoerenti: l'Isola di Faro è proprio a ridosso della costa egiziana, ma già Strabone nel I sec. a. C. si domandava perchè nell'Odissea si afferma che ci vuole un'intera giornata di navigazione, col vento buono, per raggiungerla dall'Egitto. Il clima poi appare differente da quello solare e mediterraneo che esisteva anche al tempo di Omero: nei due poemi il mare viene rappresentato opaco "del colore del vino", i guerrieri combattono spesso al freddo e talvolta devono vedersela con la neve e il ghiaccio. Più che nel Mediterraneo, l'Iliade e l'Odissea sembrano ambientati in un altro contesto geografico, ad una latitudine più settentrionale.

Omero nel Baltico.

Felice Vinci, guidato da alcune significative testimonianze storiche, come quella di Plutarco che localizzava Ogigia, l'isola della ninfa Calipso, nell'Atlantico settentrionale, non esita ad affermare che la guerra di Troia e le disavventure di Ulisse siano accadute in realtà tra il Baltico ed il Mare del Nord. E non nel 1200 a. C. bensì intorno a mille anni prima, nel 2200 o giù di lì. Trasportata con l'immaginazione tutta la scenografia dei poemi omerici in quel contesto geografico, molte stranezze contenute nei loro versi non appaiono allora più tali: il clima più freddo, il mare brumoso, i guerrieri pesantemente vestiti, e via dicendo. Anche la grande battaglia combattuta ininterrottamente per due giorni di seguito senza alcuna pausa per la notte verrebbe spiegata dalle giornate estive molto lunghe e dal sufficiente chiarore che si ha nelle ridotte ore notturne a quelle latitudini. Ma Vinci ha anche identificato precise corrispondenze tra le descrizioni geografiche presenti nei due poemi e molte località dei Paesi Baltici. Così il Peloponneso appare realmente un'isola pianeggiante, cioè Sjaelland, la maggiore delle isole danesi dove adesso sorge anche Copenhagen; nei pressi, l'isola di Lyo corrisponde in maniera ben precisa con la descrizione che fa Omero di Itaca, mentre anche l'omonima isoletta di Faro, a nord della grande isola di Gotland che si trova ad una certa distanza dalle coste della Lettonia e della Polonia (identificabile forse con l'Egitto), poteva costituire l'omerica isola di Faro, ad una giornata di navigazione. La vera guerra di Troia sarebbe stata combattuta dunque in realtà dagli antenati degli Achei omerici, ovvero dalle genti scandinave fino all'incirca al 2000 a. C. (o giù di lì) ancora stabilmente residenti nel Baltico.

In questi ultimi decenni infatti, in seguito a nuovi studi archeologici e linguistici, la tradizionale teoria della provenienza dei popoli indoeuropei da Oriente (dalle regioni del Caucaso e del Mar Caspio) ha perso sempre più terreno a favore dell'idea di una comune origine scandinava (Louth, 1996). Come viene fatto notare dallo stesso Vinci, fino all'incirca al 2000 a. C. la temperatura media del nostro pianeta era più alta di quella attuale, secondo alcuni ricercatori degli anni '70 come Godwin, anche di 2 gradi in più rispetto a quella moderna. Le ricerche paleobotaniche compiute anche a ridosso del circolo polare – in Canada, Norvegia, Siberia, ecc. - hanno accertato per quel periodo (definito "optimum climatico") l'esistenza anche alle alte latitudini, di un tipo di vegetazione che in tempi successivi, anche quelli più caldi come il nostro, si ritrova soltanto a latitudini molto più basse. Fino a 4000 anni fa nelle regioni dove ancora adesso ci sono solo le conifere o addirittura la tundra, si trovavano boschi di querce, noccioli, larici, ecc., ed i progenitori degli antichi greci micenei vivevano e prosperavano in una Scandinavia che come clima assomigliava più all'Inghilterra e alla Francia settentrionale che non a quella alla quale siamo abituati oggi (Le Roy Ladurie, 1980). Dovevano lavorare il bronzo, percorrere il mare (anche al di fuori del Baltico) con le loro veloci navi, antenate dei drakkar vichinghi, e praticare gli scambi da una sponda all'altra e da un'isola all'altra. In realtà di essi non si sa molto, per mancanza sino ad ora di sufficienti campagne di scavo, ma certamente al seguito dei loro sovrani (analoghi ai "wanax" micenei) dovevano scendere frequentemente in guerra, come i greci del Mediterraneo.

Secondo Felice Vinci tra le genti delle due sponde del Baltico, attualmente quella danese-svedese e quella della Finlandia per intenderci, vi era una particolare ostilità che si concretizzò prima del 2000 a. C. in una guerra di grande portata. I sovrani di diverse isole e regioni radunarono le loro navi ed i loro guerrieri, proprio come si legge nell'epica greca, ad Aulide, in realtà nella baia di Norrtälje sulla costa occidentale dell'attuale Svezia, e da lì veleggiarono verso la costa opposta. Obiettivo era una cittadina attualmente nell'entroterra della Finlandia, che 4000 anni fa si trovava però in prossimità del mare. Quella località esiste ancora e porta il significativo nome di Toija. Secondo Vinci sarebbe stato in realtà un insediamento di medie dimensioni, in legno secondo il tipico stile nordico-scandinavo e non la grande città in stile miceneo immaginata da Omero. Anche il muro di cinta sarebbe stato in realtà una palizzata di legno e pietre.

Troll scandinavo Al pari dell'Iliade, anche il poema di Odisseo avrebbe avuto come scenario la Scandinavia ed il Mare del Nord: così ad esempio i giganti Lestrigoni ed il Ciclope Polifemo avrebbero abitato la Norvegia settentrionale dove le leggende nordiche localizzavano i mostruosi Troll; l'isola del dio Eolo andrebbe da ricercarsi in una delle Shetland, dove tradizionalmente le donne anziane vendevano ai marinai fazzoletti annodati con spago per "governare" i venti e scongiurare le tempeste; ed il pericoloso passaggio tra Scilla e Cariddi non sarebbe naturalmente lo Stretto di Messina (analogia apparsa sempre troppo esagerata), bensì il fenomeno vorticoso del "Maelstrom" nel mare di Norvegia.

Intorno al 2000 a. C. poco dopo la guerra contro Toija ed il travagliato ritorno in patria di Ulisse, il clima peggiorò in tutto il pianeta. Probabilmente anche con la complicità della caduta di un meteorite nel Golfo Persico e di ripetute eruzioni del vulcano Campi Flegrei nel Golfo di Napoli, le temperature medie discesero all'incirca di un paio di gradi specialmente nel nostro emisfero, ed il Baltico fu soggetto ad un clima ancora più gelido di quanto non lo sia oggi. Analogamente a quanto poi avrebbero fatto 3000 anni più tardi i loro discendenti vichinghi e variaghi molte delle genti scandinave decisero di lasciare la propria terra d'origine, ma non per motivi di esplosione demografica come nel medioevo, dal clima tornato relativamente più caldo, bensì per l'impossibilità di coltivare una terra gelida. Diffusisi a ondate successive in tutta Europa e per mezza Asia fino in India alla ricerca del caldo sole (e delle ricchezze delle città che incontravano per via) assoggettarono le popolazioni di molte regioni europee ed asiatiche dando origine alle culture indoeuropee come tradizionalmente si conoscono. Ma i Greci Achei e Micenei fecero anche qualcos'altro: spinti dalla nostalgia, assegnarono ad ogni regione del Mediterraneo che toccavano con le loro navi il nome di qualcuno dei paesi che avevano lasciato sul Baltico, cercando di ricostruirne la geografia, anche al prezzo di qualche forzatura. Ecco perchè il montuoso Peloponneso fu equiparato alla pianeggiante "Isola di Pelope", ovvero la Sjaelland, e l'Isola di Faro, quasi attaccata alla costa egizia, venne descritta lontana una giornata di navigazione.

Toija e Wilusa.

Apprezzate anche all'estero, non solo, come ci si potrebbe aspettare, nei paesi Scandinavi, ma anche negli Stati Uniti dove vengono studiate nelle Università americane, le conclusioni di Felice Vinci tuttavia non hanno però mancato di suscitare anche molte critiche e contrarietà. Il motivo non è soltanto la tradizionale diffidenza del mondo accademico verso tutte le teorie nuove e rivoluzionarie, ma anche le ben più concrete testimonianze archeologiche. Specialmente nell'Iliade, Troia viene descritta in maniera ambivalente, ora come una città semplice e arcaica, ora invece dotata di grandi palazzi in stile miceneo, larghe vie, templi e possenti strutture fortificate. Anche se molti studiosi concordano che Omero abbia lavorato certamente di fantasia attribuendo alla Ilio di cinque secoli prima molte caratteristiche delle città greche dei suoi tempi, tuttavia perlomeno fino all'imperatore Giuliano (361 - 363 d. C.) una città chiamata Troia esisteva realmente sui Dardanelli, finché non decadde e di essa non se ne perse anche l'esatta localizzazione. Ma i 9 strati di antiche rovine dissotterrate a partire dal 1870 sulla collina di Hissarlik in Turchia e tutto il paesaggio circostante sembrano corrispondere sufficientemente alla Ilio della tradizione antica nonché alla descrizione omerica, anche se la topografia della città scoperta da Schliemann non coincide proprio esattamente con quanto riportato dall'Iliade. Tuttavia i resti degli edifici, dell'Acropoli e delle mura degli strati VI e VII risalgono proprio al periodo tradizionalmente associato dagli antichi scrittori greci con la guerra contro la potente Ilio. La città dello strato VI (1800 - 1300 a. C.) sembra essere stata danneggiata da un terremoto, ma quella di pochi anni dopo, risalente al 1260 a. C., la VII/a, riporta i segni di un possibile assedio e una successiva distruzione: si hanno infatti tracce di un improvviso aumento di popolazione, dell'ammassamento di grandi scorte nei magazzini e di un successivo incendio. Gli abitanti a cui appartengono i resti ritrovati sembra siano morti assassinati, così come riportato dall'epica.

Fino ad alcuni anni fa anzi sembrava che la città riportata alla luce, pur dimostrandosi più grande, solida e meglio fortificata della Toija di legno identificata da Vinci, fosse più piccola di quanto non la descrivesse l'Iliade. Ma negli ultimi decenni le nuove indagini archeologiche e geologiche di Korfmann e Kraft hanno potuto accertare che i resti trovati da Schliemann sono in realtà quelli dell'Acropoli, la cittadella fortificata. Oltre le mura si estendeva tutto il borgo residenziale e commerciale facente capo al porto i cui resti probabilmente sono ancora da identificare con l'aiuto della geologia. Si è anche appurato che la linea costiera era molto differente da quella attuale, e prima che nel corso dei millenni il fiume Scamandro colmasse coi suoi sedimenti i bassi fondali, il mare si insinuava in prossimità delle attuali rovine. Kraft avrebbe anche identificato il luogo dell'ormeggio delle navi greche ed il muro fatto costruire da Nestore a difesa del loro accampamento. Anche le datazioni al radiocarbonio C14 collimano con il contesto storico ed archeologico, nonostante non manchino anche all'interno degli stessi studiosi tedeschi opinioni contrarie, come quella di Frank Kolb, per il quale le rovine di Hissarlik non possono essere quelle di una grande città commerciale come la Ilio omerica, ma al massimo quella di una piccola fortezza che dominava sull'area rurale circostante. (Giorgetti, 2003; Sindici, 2010).

Impero Ittita Tuttavia l'esistenza e la potenza della grande città di Priamo posta a guardia dei transiti commerciali sui Dardanelli, tra Mediterraneo e Mar Nero, sarebbe anche confermata da altre fonti antiche. Intorno al 1200 a. C. i testi Ittiti documentano la presenza di una importante città nella regione di Arzawa, ovvero l'odierna Turchia occidentale. Il nome di questa città era Wilusa, foneticamente simile ad Ilio dunque, il suo sovrano era Alaksandu che nei poemi omerici (nella forma grecizzata di Alessandro) era un secondo nome di Paride. Essa inoltre risultava contesa tra l'Impero Ittita che occupava anche quasi tutta l'Asia Minore, e i sovrani di Ahhijawa, termine col quale molto probabilmente gli Ittiti designavano la sfera d'influenza anche marittima degli Achei. Insomma se l'ambiente mediterraneo nei poemi omerici risulta contraddittorio ed incoerente tanto da rendere più convincente la ricostruzione di Felice Vinci, non così sembra per la città di Priamo, molto più simile alla Ilio/Wilusa dei Dardanelli che alla Toija baltica. Dove sta allora la verità? Come spesso accade non è escluso che possa appartenere ad entrambi i punti di vista, e può venir adeguatamente rappresentata dalla metafora della tela di Penelope.

Due nomi, due città?

Omero ed i suoi predecessori cantori amavano tessere abilmente le loro storie, specialmente quando queste venivano tramandate oralmente, intrecciando sul telaio della propria cetra, leggende, folklore, racconti di marinai con i miti degli dei e degli eroi. Ma qualsiasi tessuto ha bisogno di almeno due tipi di fili: la trama e l'ordito. I poemi omerici – come abbiamo avuto modo di vedere – sono pieni di elementi doppi: vi sono duelli che si ripetono identici per due volte; vi sono personaggi con due nomi differenti, come Paride/Alessandro; e vi è una medesima città scenario, ma con due nomi diversi: Troia (Toija?) e Ilio (Wilusa?). Viene spontaneo immaginare che questi due nomi identifichino in realtà due città differenti, e due guerre differenti, con vicende simili ed esito analogo, ovvero l'incendio e la distruzione della città assediata a lungo. E magari con due gruppi di sovrani, eroi, personaggi distinti, fusi e confusi poi nel corso dei secoli in un'unica grande vicenda epica. Due nomi, due città differenti oggetto di due guerre distinte combattute a mille anni di distanza l'una dall'altra: nel 2200 nel Baltico contro Tojia, l'altra nel 1260 a. C. contro Ilio sui Dardanelli. La prima combattuta dagli antenati scandinavi in un mondo socio-culturale più semplice potrebbe anche aver avuto in questione, come suggerito anche da Vinci, proprio una bella donna, vittima forse di una razzìa da parte dei baltici dell'odierna Finlandia ai danni dei loro avversari della sponda opposta, le attuali coste della Svezia e delle isole danesi: tutti i residenti di quel versante, chi più chi meno con qualche conto in sospeso, avrebbero allora deciso di fare causa comune per dare una severa lezione, una volta per tutte, ai "Tojiani" e ai loro alleati.

L'altra guerra venne invece combattuta mille anni più tardi contro la Ilio di Schliemann, dai lontani discendenti di quei proto-indoeuropei scandinavi dopo le loro ripetute migrazioni verso il sud e l'Egeo. La ricca città anatolica in quei mille anni era risorta più volte sulle proprie ceneri, tornando alla vita e alla prosperità commerciale dopo i danni ripetutamente provocati da invasioni nemiche, incendi e terremoti. La concorrenza navale che sicuramente esercitava con la sua potente flotta in tutto l'Egeo e la sua posizione strategica a guardia dei Dardanelli, controllando il passaggio marittimo verso il Mar Nero, e fra l'Asia Minore e l'Europa, rappresentavano una spina nel fianco per l'espansionismo commerciale e militare degli Achei Micenei. Questi del resto già controllavano Rodi ed il prospicente litorale dell'Asia Minore, e commerciavano proficuamente con tutto il Mediterraneo, fino alla Spagna. Ilio/Wilusa era però spalleggiata dal potente impero Ittita che si estendeva per quasi tutta l'Anatolia, e dunque era impossibile attaccarla. Anzi intorno al 1300 a. C. gli Ahhijawa/Achei d'Asia vennero sconfitti e resi vassalli dal sovrano di Hattusas Mursili II (Levi, 2004). Ma quando la decadenza travolse l'Impero Ittita poco tempo dopo, per i greci micenei venne il momento opportuno e liberatisi dal protettorato anatolico sbarcarono sui Dardanelli assediando la grande città di Priamo, ancora con i segni di un recente terremoto. Secondo un'interessante tesi, la città sarebbe stata presa nascondendo dei guerrieri achei nelle ceste trasportate da una carovana di cavalli e destinata al rifornimento dei troiani assediati: di qui la leggenda del cavallo (Enrico Pantalone)

Anche la guerra contro Ilio/Wilusa agli aedi micenei dovette sembrare memorabile e degna di essere tramandata fino a fonderla con l'altra impresa di cui serbavano ancora memoria, quella avvenuta mille anni prima nel Baltico. Le rielaborazioni successive hanno poi praticamente reso estremamente difficile distinguere scenari e personaggi appartenenti alle diverse epoche.

fonte: www.cataniacultura.com/147-omero-baltico.htm
view post Posted: 27/11/2009, 19:10 Shambhala e Shangri-la - Archeologia e Misteri dal Passato
La scena del ritrovamento dei manoscritti sembra fin troppo bella per essere vera. Mi puzza di montatura, non so a che scopo, ma tant'è. Per quanto al riparo, questi papiri che sembrano stampati ieri con una laser sempre in una grotta sull'himalaya e da secoli sarebbero stati... e poi, buttati lì così a mucchio? Cos'era, la raccolta differenziata di carta e cartone del tempo? Oppure dentro arriva il vento che spazza tutto ma non un filo di umido a danneggiare?
view post Posted: 18/9/2009, 19:40 Cosa fate stasera? - Cazzeggiando... ^_^
mmm mi sa che non ci sarà troppa partecipazione... :D
view post Posted: 18/9/2009, 10:47 Cosa fate stasera? - Cazzeggiando... ^_^
Ciao a tutti! Se stasera (VENERDI 18/9) non sapete che fare dalle 21 in poi, aiutatemi a conquistare la vetta nella caccia al tesoro sul web a cui parteciperò stasera!! :lol:

Posterò qui le domande che man mano affronterò.

CITAZIONE
I giocatori devono gareggiare risolvendo domande su vari argomenti (musica, cinema, letteratura, fumetto, arte, ecc.). Il tema di questa edizione punta i riflettori su coloro che vengono additati, scherniti e spesso allontanati dalla comunità: i freak, insomma, come il titolo della pellicola di Todd Browning in cui i protagonisti erano proprio persone “fuori dalla norma”.

view post Posted: 11/5/2009, 11:39 Libici in scandinavia nel 1400 ac - Archeologia e Misteri dal Passato
sempre sui libici, qualche secolo dopo:
CITAZIONE
PIRAMIDE A GIAVA CON SCRITTA LIBICA

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Un'iscrizione in pietra in una scrittura sconosciuta fu scavata da Sir Stanford Haffles nel 1815 in una piramide, sulle pendici del monte Lavu. La scrittura è stata da me identificata come libica e la lingua come antico Maori, apparentemente identica alla lingua maura delle steli del Nord Africa, in scrittura libica. A differenza delle iscrizioni africane, a Giava le consonanti recano puntini che indicano le vocali, secondo l'uso del moderno amharico. La stele è datata all'anno 616 dell'era di Antioco (304 d.C.).

I valori consonantici dei caratteri della scrittura libica sono stati determinati da de Sauley (1849) e Chabot (1918) in correlazione ai segni corrispondenti di nomi propri che apparivano in iscrizioni bilingui punico–libiche o latino–libiche. Le vocali non furono riconosciute. La lingua del testo libico rimase conosciuta e fu ritnuta numidico, ossia una lingua ritenuta imparentata al ceppo berbero (Friedrich, 1957), benché una sola parola fosse stata trovata a sostegno di tale asserzione.

La recente ricognizione dei caratteri libici in un'iscrizione egizia sull'isola di Pitcairn mi ha spinto ad investigare sulle iscrizioni libiche, con l'immediato risultato che i caratteri a "lettere quadrate", sino ad ora misteriosi, delle steli di Giava, furono riconosciuti come una variante orientale della scrittura libica.

Quando i valori fonetici determinati da de Sauley e Chabot vengono inseriti nelle iscrizioni di Giava, il testo che risulta è immediatamente riconoscibile come una forma primitiva di polinesiano, e corrisponde a quanto già riferito per altre steli di Giava scritte in antico alfabeto semitico (Fell, 1973).

Per questa lingua ho proposto il nome di "antico Maori", ed ho dimostrato che si tratta d'una forma dialettale dell'egiziano parlato in età tolemaica. Come riferisco altrove, le stesse iscrizioni libiche e nord–africane, scritte in lingua libica, si rivelano essere come "antico Maori". Il contenuto di tali testi aderisce strettamente ai testi paralleli in latino e in punico trovati sulle steli bilingui. La stele qui riportata è, naturalmente, monolingue.

L'iscrizione qui riportata mostra con chiarezza che i polinesiani di Giava, nel sec. IV d.C., seguivano la religione persiana, ossia adoravano il Re Sole sotto il nome egizio di Ra, e tra i loro oggetti di culto avevano l'angelo di Mitra chiamato Manaia, alato e con la testa d'uccello.

Pubblicherò in seguito altri particolari, qui riferisco unicamente sull'epigrafe, la sua traduzione e note etimologiche.

Il Testo: vedi foto collegata alla news

Traduzione

1. Questa sacra piramide di Ra i Parsi hanno eretto sul pendio di Hiwa per

2. Il culto di Mitra e Manaia, "Adora i raggi solari e da' loro voce".

3. All'alba nel giorno di metà inverno l'ombra tocca la testa della tartaruga

4. A destra, verso sud, e a metà estate tocca

5. L'ombra la tartaruga sul lato nord. In queste date quando il sole sorge

6.gli anziani devono curare il fuoco sul braciere e gli anziani devono pregare

e cantare l'inno del giorno di metà inverno.

Anno 616 (304 d.C.)

Note sulla fraseologia

La tartaruga del sud è una larga pietra a forma di tartaruga, posta sul lato destro della base del gradone che sale alla piramide sulla faccia occidentale. La tartaruga del nord sta sul lato sinistro. Tali immagini sono indicate nella relazione degli scavi di Raffles (1844).

La frase tra virgolette nella seconda riga della traduzione ricorre anche nell'iscrizione dell'isola di Pitcairn, dove è citata come presa dalle scritture (vedi articolo, Fell 1974).

L'ombra cui si riferisce l'iscrizione era probabilmente gettata da un obelisco collocato in cima alla piramide. Potrebbe trattarsi del fallo alto due metri caduto e rotto in due pezzi, scavato da Raffles.

Le parole della prima riga e la relativa rozzezza delle lettere della stele, rispetto all'architettura sofisticata, danno l'impressione che i coloni maori di Giava avessero appreso la tecnica della piramide dalla conquista di territori già occupati dai Persiani, o in alternativa costruttori persiani (Parsi) possono essere stati impiegati dalla colonia maori.

In questo sito comunque, come in tutta Giava, non rimangono iscrizioni in antico persiano. Vari aspetti del profilo delle tre terrazze della piramide suggeriscono che questo sito di tempio fosse il prototipo sul quale si modellarono l'heiau e l'ahu della Polinesia.

Riferimenti

J.B. Chabot (1918), Punica, Journal Asiatique, II serie, 11(1), 249–302.

H.B. Fell (1973), Egypto–Polynesian Alphabete, 1, Semitic Series of Java and Sulawesi, Egypto–Polynesian Studies (Cambridge, M.C.Z.).

H.B. Fell (1973b), Phonetic Mutation in Egypto–Polynesian Languages, ibidem, 37–51.

H.B. Fell (1974), An Egyptian Shipweck at Pitcairn Island, ESOP, 1, 1–3.

J. Friedrich (1957), Extinct Languages, New York, Philosoph. Lang.

Th.S. Raffles 1844), Antiquarian, Architectural and Landscape Illustrations to the History of Java, London, Bohn.

F. de Sauley (1849), Observations sur l'Alphabet tifinag, Journal Asiatique, 247–264.

di Barry Fell
(4 Maggio 2009)

link: http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=243

CITAZIONE
IL NAUFRAGIO D’UNA NAVE EGIZIA O LIBICA ALL’ISOLA DI PITCAIRN nel sec. III a.C., o diversi secoli prima?

Ruth K. Hanner di Kauai (Hawaii) mi ha trasmesso una copia di un'iscrizione rupestre dell'isola di Pitcairn, pubblicata da Taylor (1870). Ai tempi della scoperta si cercò di decifrarla, ma senza risultati significativi, per la scarsa conoscenza dei geroglifici di quel tempo. L'iscrizione è stata successivamente danneggiata gravemente dagli isolani, nel tentativo di rimuovere le lettere, per venderle ai turisti. Dai tempi di Taylor, l'iscrizione non è più stata studiata.

La trascrizione di Taylor mostra che il linguaggio è egiziano, il dialetto libico, e la lettura scorre dall'angolo in alto a sinistra in una spirale oraria sino all'angolo in basso a sinistra, poi obliquamente verso il centro lungo una sezione sottolineata. Iscrizioni a spirale si trovano nelle isole del Mediterraneo adiacenti alla Libia. Le lettere sono di due tipi:

1) Geroglifici monumentali del tipo egizio standard, qui utilizzati nel sistema abbreviato, come accade per esempio nelle steli di Ramses III, in cui il determinativo sostituisce l'intera parola. Ad esempio la prima lettera, l'arco pedet, indica una ciurma, generalmente composta di mercenari stranieri.

2) Segni sillabici libici simili a quelli delle iscrizioni numidiche del sec. II–I a.C.

La parte sottolineata è, come indicano i geroglifici che la precedono, una citazione da una scrittura; essa è in lettere libiche, con le vocali aggiunte mediante punti, come se ne trovano nelle iscrizioni di Giava in Polinesia, e simili a quelli usati in India durante il sec. III a.C., come nelle iscrizioni di Ashoka. L'epoca di Ashoka corrisponde a quella di Tolomeo III e si sa che navi egiziane salparono per l'India in quel tempo. È possibile quindi che l'iscrizione di Pitcairn sia coeva, databile forse intorno al 250 a.C.

Se tale supposizione è corretta, la visita avvenne circa 600 anni prima della principale migrazione di coloni Maori da Giava alla fine del sec. IV d.C.

[foto1] Il disegno dell'iscrizione fatto da Richard Taylor (1870), da leggersi da sinistra in alto a spirale oraria, sino a sinistra in basso, poi lungo la linea diagonale sino a terminare in alto a destra.

[foto2] Testo rettificato, in geroglifici standard monumentali e segni sillabici libici, con valori fonetici.

Le radici equivalenti della moderna lingua maori sono (nell'ordine sopra esposto):

1. Putere pone hau natu, uta, tua (matou), Tu–pu–na Manu nono.

2. Tua (matou) Ra, mono tuhi: "Mira ra, ke".

Letto in egiziano, la traduzione è:

La nostra ciurma, naufragata in una tempesta, è approdata a terra, grazie a Dio. Siamo gente della regione di Manu. Adoriamo Ra in accordo con la scrittura: "Crediamo al Sole e gli diamo voce".

Letto in maori, la traduzione è:

La nostra nave si è trovata in difficoltà in una terribile tempesta, siamo approdati ed abbiamo offerto oblazioni. Proveniamo da Manu. Offriamo sacrifici a Ra in accordo con quanto si canta nella scrittura: "Onora il Sole e gridalo forte".

Le iscrizioni spiraliformi caratterizzano i documenti più antichi dei Popoli del Mare e dai documenti egizi sappiamo che i Popoli del Mare colonizzarono la Libia.

Questa è l'unica iscrizione a noi nota, della Polinesia, in cui il geroglifico monumentale è combinato col più corrente alfabeto sillabico libico (o mauro), e la sola iscrizione in cui si trovino i punti vocalici in associazione col geroglifico monumentale.

La frase "Ta–pa–nu M3nw" (siamo gente di Manu) ricorre, in lettere libico–puniche, su un uccello inciso in legno, proveniente dall'Isola di Pasqua, ora conservato nel Museo Americano di Storia Naturale (S 5309). Manu indica gli altipiani della Libia orientale, e la parola è designata dal geroglifico del piccione (M3nw in antico egiziano, manu, uccello, in moderno maori).

Una frase simile alla citazione strutturale, ma in cui da–ra (raggi del sole) si sostituisce a Ra (il Sole), ricorre anche nell'iscrizione della piramide Suku a Giava, scritta in alfabeto sillabico libico.

Sembra qui di trovare un linguaggio formale, legato al culto solare, e rimasto persistente in Polinesia dai tempi dell'Egitto classico sino alla rivoluzione religiosa dei sec. XII e XIII.

Sembrerebbe anche che i primi coloni giunti da Manu fossero gli stessi "Manshune" che, secondo la tradizione, costruirono i grandi templi nelle isole Hawaii. Il termine Manu–hunu significherebbe "pioniere Manu" in moderno maori.

Riferimenti

Rev. Richard Taylor (1870), New Zealand and its inhabitants.

di Barry Fell
(27 Aprile 2009)

link: http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=242

CITAZIONE
DALLA TUNISIA AL PACIFICO antiche iscrizioni Maori in scrittura Maura (Numidica)

image

Le decifrazioni compiute da Barry Fell nei primi anni '70 rivelano che le antiche iscrizioni maori formano una cintura da est verso ovest, lunga quasi 30.000 km, dal Nord della Tunisia ad ovest sino alle isole di Pitcairn e di Pasqua ad est, nel Pacifico centrale. Le iscrizioni più antiche sono databili ai sec. III e II a.C., e si trovano in entrambe le estremità di questa cintura. Le origini della forma di scrittura e del linguaggio utilizzati sono nord-africani. Il Nord della Tunisia, con un migliaio o più di tali iscrizioni, deve quindi essere identificato come la madrepatria dei polinesiani.

Il nome latino dei Mori, Mauri, è probabilmente apparentato con il termine polinesiano con cui essi chiamano se stessi e la propria lingua: Maori. Un certo numero di antiche iscrizioni maori è accompagnato da un testo parallelo in caratteri latini, che conferma la loro decifrazione.

Importanti siti con antiche iscrizioni maori, noti nel 1974 (in ordine alfabetico)

- Ain el Bern, 1 km da Dougga, Tunisia. Iscrizione danneggiata di otto righe, in caratteri maori quadrati, scoperta nel 1902.

- Ain el Kebch. Stele con iscrizione bilingue punica–maori, scop. 1878, pubbl. Reboud (1879).

- Bordj Zoubia, nella valle della Medjerda, Tunisia, tra Oued Meliz e Henchir Hammam Darradji. Stele del guerriero Weka (ESOP, 9).

- Bulla Regia. Antico nome di Henchir Hammam Darradji.

- Cheribon. Distretto di Giava centrale, con antiche steli maori in scrittura fenicia orientale, del tardo sec. IV d.C., trad. Fell 1973.

- Chemtou. Vedi Oued Meliz, nome attuale.

- Dougga. Nome moderno di Thugga.

- Duvivier. Vecchio nome di Ain–el–Kebch.

- El Bouia. Presso Thugga, Tunisia. Stele di 8 righe.

- El Kef. Anticamente Sicca Veneria, o anche Thullium. Importante centro agricolo sin dai tempi classici, produce grano, olive, miniere di ferro, antiche cave di marmo dell'epoca romana a Chemtou. Anfiteatro intagliato nel fianco sud della collina ed altri resti con una basilica cristiana. Steli bilingui in latino e maori (ESOP 6, 7). Queste iscrizioni hanno fornita la prima prova che l'antica lingua della Tunisia corrispondesse col maori.

- Giava (Java). Colonie maori a Cheribon (v.) e sul monte Lawu (v. Lawu). Le steli maori cessano alla fine del sec. IV d.C. Iscrizioni sia fenicie sia maori, tutte con punteggio delle vocali.

- Hadrumetum. Antico nome di Sousse, in Tunisia, fondata nel sec. IX a.C. dai Fenici, poi soggetta a Cartagine, distrutta dai Vandali nel 434 d.C., ricostruita da Giustiniano. La relazione coi Maori è incerta, mancano le steli.

- Hawaii. Numerosi pittogrammi e per lo più caratteri isolati.

- Henchir Hammam Darradji. V. Bulla Regia e Bordj Zoubia.

- Isola di Pasqua (Rapa–Nui). Vi si trovano tavolette di legno copiate da originali più antichi provenienti dalla Polinesia. Varie iscrizioni, con caratteri neo–punici e quadrati maori della Tunisia. Tutti successivi al sec. IV d.C., risalenti a diversi viaggi, per lo più in lingua Pali.

- Isola di Pitcairn, Pacifico centrale, Polinesia orientale. Sito del tempio sulla cima della falesia, con quattro divinità di pietra che guardavano nelle quattro direzioni. Tutto devastato dai coloni del Bounty, e le statue gettate in mare. Iscrizione egizia con caratteri sillabici maori (lettere quadrate numidiche), combinati con geroglifici egiziani in stile monumentale, trad. Fell (ESOP 1, 1974).

- Jama. Nome moderno di Zama, Tunisia, sito della famosa battaglia.

- Kevale. Provincia di Cheribon, Giava centrale. Stele Maori, senza data, ma da assegnare - secondo Fell - al 385 d.C.

- Kuale. Provincia di Cheribon, Giava centrale. Importante stele Maori in scrittura fenicia, datata Saka 307 (385 d.C.), che tratta della partenza della flotta maori per colonizzare nuove terre, in seguito all'invasione Indù di Giava. Trad. preliminare di Fell, 1973.

- Lawu, monte. Giava orientale, sito della piramide maori di Ra, con associati tempio e sculture. Le iscrizioni comprendono lettere quadrate di stile maori (o numidico) su una stele votiva (ESOP 3, 1974).

- Macassar. Regione meridionale di Sulawesi, vi si trova un alfabeto derivato in parte da quello tunisino, ancora ricordato (benché non più in uso) nel 1815, quando Raffles lo registrò. Steli non conosciute, ma possibili. Manoscritti raccolti da Raffles, tutti distrutti nel disastroso incendio d'una nave che li portava in Inghilterra.

- Maktar, Tunisia. 50 km a SE d'El Kef, antica città in rovine con arco di trionfo del 116 d.C., dodici arcate di acquedotto romano, templi, chiesa cristiana. Importante stele bilingue punica–maori, ora nel Museo del Bardo a Tunisi.

- Oued Meliz, Nord Tunisia. Già chiamata Chemtou, nella valle della Medjerda, 30 km a NNW di El Kef. Centro agricolo sin dai tempi antichi, cave di marmo ai tempi dei Romani, ora abbandonate, miniere di ferro. Stele bilingue di Weka nella zona.

- Rapa Nui, nome maori dell'Isola di Giava.

- Sicca Veneria, Tunisia. V. El Kef.

- Simithu Colonia, Tunisia. V. Oued Meliz.

- Sulawesi o Celebes, v. Macassar.

- Teboursouk (antico nome: Thubursicum Bure), Nord Tunisia, presso Thugga.

- Thugga (Dougga). Città in rovina del Nord della Tunisia, 7 km a SSW di Teboursouk. Tempio e Mausoleo di Massinissa, entrambi con iscrizioni dedicatorie in punico e maori, ca. 200 a.C., archi di trionfo, teatro, acquedotto romano, fortezza bizantina. Il re numida Massinissa è citato in un'iscrizione bilingue, che contiene anche il nome di Annibale (v. nostro articolo).

- Thullium, città della Tunisia, apparentemente la stessa che si chiamava Sicca Veneria. Citata nella stele di Kaiu (ESOP 6).

- Zama, Tunisia, a N di Maktar, sito della battaglia in cui Scipione l'Africano e il re numida Massinissa sconfissero Annibale nel 202 a.C.

di Barry Fell
(27 Aprile 2009)

link: http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=241

view post Posted: 4/5/2009, 14:55 Libici in scandinavia nel 1400 ac - Archeologia e Misteri dal Passato
Alla luce di quanto segue si potrebbe riprendere l'ipotesi "Omero nel Baltico", nella sua teoria sulla GdTroia o anche solo per spiegare i reperti Micenei trovati nel Baltico.
Ricordo che la Libia era territorio abitato da protogreci, micenei e altri. La zona del santuario di Amon è oltre la depressione della Sirte, sotto la Cirenaica. Chi ha letto le altre discussioni nella sezione forse potrà ricordare i collegamenti con i Danai, i miti di Egitto, di Tritone, degli Argonauti, dei Popoli del Mare, fra i primi che mi sovvengono e che riferiscono alla zona e al periodo. Siamo tra l'esplosione di Thera e la Guerra di Troia/Invasione dei PdMare.

CITAZIONE
VIAGGIATORI LIBICI IN SCANDINAVIA NEL 1400 A.C.
23 Aprile 2009 -

Una roccia incisa dell'Età del Bronzo, in Svezia, pubblicata in origine nel 1949 da Halldin reca un'iscrizione nell'antico linguaggio dei Mauri di Libia, scritta in caratteri dell'alfabeto numidico. Le navi raffigurate nel petroglifo somigliano a quelle che compaiono in numerosi petroglifi svedesi, e se ne può dedurre che molte, o la maggior parte delle iscrizioni scandinave dell'Età del Bronzo devono ugualmente essere di autori libici. Le osservazioni sono collegate a materiali d'origine nord africana.
Albrectsen (1949), Hald (1946, 1930) e King (1975) hanno richiamato l'attenzione sull'enigma dei motivi decorativi e delle tecniche che compaiono in Scandinavia all'inizio dell'Età del Bronzo (1400 1200 a.C. in Scandinavia), i quali sembrano richiamare o ricevere influenze quasi dirette dall'Egitto o da Micene. Tali influenze compaiono improvvisamente, come un articolo d'importazione, senza segni di evoluzione graduale al livello locale. Tuttavia mancano segni diretti di contatti con un mondo estraneo. Ora desidero attirare l'attenzione (fig. 1) su un petroglifo svedese inciso con lettere e nella lingua dell'antica Libia, che è stata da me decifrata da iscrizioni libiche e polinesiane, negli articoli che ho pubblicato nel corso del 1974.
Le navi raffigurate sembrano navi da carico, con palizzate che circondano il ponte per trattenere le merci al loro posto, come sono descritte ed illustrate da Landstrom (1970, p. 139, fig. 407) le navi egiziane del periodo intorno alla XXI Dinastia, 1000 a.C. ca.
Al lato delle due navi qui raffigurate si vedono, a sinistra, due grandi lettere che somigliano alle greche theta ed omicron. Tuttavia, se ci riferiamo alla tabella di Diringer (1968, vol. 2, p. 174) relativa ai segni sillabici libici, ed alle varie tabelle da me pubblicate (Fell, 1973), vediamo che nell'alfabeto libico tali lettere hanno il valori b (o ba) ed r (o ra). Quindi i due caratteri indicano, in alfabeto libico, il suono br (o ba-ra).
Roccia dell'Età del Bronzo, in Svezia, con testo libico.
Disegno di David Moynshan, dall'illustrazione pubblicata da G. Halldin (1949).
Nelle decifrazioni da me compiute negli anni 1973 e 1974, ho supposto che l'antica lingua Libica (o Maura) fosse una specie di dialetto occidentale dell'antico Egizio. Inoltre ho mostrato, nel contesto delle iscrizioni libiche ritrovate nelle isole del Pacifico, che l'espressione br o ba-ra significa "navi che vanno per mare".
A destra delle navi si vedono altre due lettere libiche, wa e ma, e sotto "ma" si vede un altro segno parzialmente danneggiato che doveva essere il simbolo a spirale di Ammone (un'ammonite). Se questa lettura è corretta, il gruppo si può leggere da destra a sinistra come "Ammon ma-wa", ossia "possa Ammone guidarci", e l'intra scritta diventa: "Possa Ammone guidare (nle nostre) navi".
Ammone è il nome del dio solare Ra, venerato dai Libici nel tempio di Amon-Ra, nell'oasi di Shiwa. Il tempio si trova in una zona di fossili del Mesozoico, con molti esemplari di ammoniti fossili. Le conchiglie spiraliformi di tali cefalopodi estinti erano considerate simboli sacri del dio, nei tempi antichi. Esse somigliano agli ornamenti indossati al collo e alle orecchie dalle regine d'Egitto e di Libia sulle monete del periodo tolemaico, e Alessandro Magno fu indicato su alcune di quelle monete con indosso lo stesso simbolo, il corno dell'ariete di Amon, a forma di spirale. Al piede dell'iscrizione si vede isolata la lettera pa, ma qui la parola appare cancellata dalla rottura del pezzo.
La situazione somiglia a quella del maggio 1953, quando Blegen, scavando a Pylos, trovò la prima tavoletta illustrata del Lineare B che mostrava un treppiedi. La decifrazione di Ventris, annunciata undici mesi prima, poteva essere sperimentata, perché dietro il tripode apparivano quattro segni, che corrispondevano alle lettere t-r-p-d, vocalizzabili in ti-ri-po-de. In un altro esempio identificato dal Prof. George F. Carter, si vede un disegno di uno huanaco, su una scogliera cilena, con le lettere libiche wa-na-ka, insieme alla traduzione in lingua libica re-su ba (ariete del sud).
Riferimenti
Abrectsen, Erling (1949): Danmark i Oldtiden, Copenhagen.
Badawi, Ahmad & H. Kees (1958): Handwoerterbuch der Aegyptischen Sprache. Cairo.
Fell, Barry (1973): Occ. Pub. Epigraphic Soc., vol. 1, 1 19.
Hald, Margrethe (1946): Acta Archaeologica 17.
Hald, Margrethe (1950): OlddanskerTextiler, Copenhagen.
Haldin, G. (1949): Sveriges Sjöfartsmuseums Aarsbok, Stockholm.
King, Bucky (1975): Occ. Pub. Epigraphic Soc., vol. 2, 33.
Landström, Björn (1970), Ships of tbe Pharaohs. Doubleday, New York.
Fonte: liutprand.it
del 22 aprile 2009

view post Posted: 21/1/2009, 20:34 Video su Nibiru - Spiritualità, Ascensione, Bambini Indaco, ecc.
CITAZIONE (sesshomaru94 @ 21/1/2009, 19:50)
CITAZIONE (xMig.conf @ 21/1/2009, 19:28)
Le proveee......ufff..

si, hai raiogne, ma di prov e concrete v'è solo il calendairo maya e pochissimi video, alcuni dei quali, poi non si sa nemmeno se veri

il calendario maya lo si trova anche nell'insalata ormai. Peccato che anche con nibiru non c'entri nulla. Nibiru appare solo da fonti sumere. Parlo di fonti vere, non di leggende metropolitane dell'era internet.

Comunque, se mi è concesso un commento, ci si accontenta di fondamenta veramente scarse per le proprie credenze ultimamente...
view post Posted: 6/1/2009, 12:39 google mappe - Pianeta Terra
nel senso che intuire che una duna nasconde una piramide che si dice esistita può portare a qualcosa, tipo scavare e trovarla. Speculare sulla similarità della disposizione di tre punti non perfettamente allineati (configurazione piuttosto comune per tre oggetti) con quella di tre stelle in cielo (orione non è certo l'unica costellazione ad avere tre stelle non allineate), per quanto ci sia un punto percentuale di possibilità di un reale collegamento, non può portare che ad altre speculazioni. Questo il mio parere.
Scusate OT
view post Posted: 6/1/2009, 12:05 google mappe - Pianeta Terra
CITAZIONE
so paranoica se vedo la cintura ovunque???

secondo me si, ma è il mio parere personale. Se stiamo sullo storico quello che troviamo è già abbastanza stupefacente, e le intuizioni possono non perdersi nel nulla.
view post Posted: 6/1/2009, 10:33 google mappe - Pianeta Terra

WAAA! Questa - e l'ho pensato prima di allargare l'immagine per vedere la localizzazione - sembra la piramide a punta piana, dove erano posate le grandi statue, del faraone Meride di Erodoto! Doveva essere in mezzo al lago artificiale Meride, ovvero... dov'è questa.
view post Posted: 3/1/2009, 23:00 E se tu fossi un animale d'allevamento? - Animalisti e/o Vegetariani
CITAZIONE (chang112x @ 28/12/2008, 12:51)
E se tu fossi un pomodoro ?
Te ne stai tranquillo nell'orticello, poi arriva qualcosa ti piglia ti stacca e ti uccide.
Poi agonizzante vieni tagliuzzato a pezzettini e qualcosa di oleoso e acido ti brucia le interiora ... poi più niente.

La crudeltà non è nel morire ed essere divorati e digeriti da qualcosa, destino che attende tutto ciò che vive su questa Terra. E' come passi la vita, che può essere crudele.
Il fatto che il coniglio abbia le zampe e non le radici la dice lunga su che tipo di vita lo avrebbe atteso. Magari brevissima, ma tutta di corsa, vento nelle orecchie e profumo di terra.
view post Posted: 3/1/2009, 22:54 Perchè diventare Vegani? - Animalisti e/o Vegetariani
CITAZIONE
I bovini vengono trattati da animali, come le galline e i conigli e tutti gli altri animali utilizzati in agricoltura.

Bene. Io non sono d'accordo con questo modo di trattare gli animali, fosse anche un comandamento di dio, quindi cerco di non mettere il mio soldino nelle mani di questi uomini evoluti. Cerco, poichè c'è senz'altor più crudeltà di quanto io ne sia a conoscenza.
view post Posted: 3/1/2009, 08:57 google mappe - Pianeta Terra
tutta la zona è puttosto strana... spazi circolari, cerchi scuri allineati che sembrano oblò o condotti verso qualcosa di sotterraneo. Ma i nevadesi son proprio ambigui!
view post Posted: 1/1/2009, 19:21 Profezie per il 2009 - Cazzeggiando... ^_^
Il dollaro verrà sostituito, diventando carta straccia.
570 replies since 10/10/2005