chakra, corrispondenze e cammino spiritualeMULADHARA 1° chakra
È localizzato al centro del perineo tra l’ano e i genitali ed è qui che si colloca l’ingresso della sushumna, ostruito da Kundalini.
Muladhara, «il sostegno della base», appare come un loto di colore giallo dorato con quattro petali scarlatti con inscritte in oro le quattro ultime consonanti dell’alfabeto sanscrito: «v, sh (linguale), sh (palatale), s».
I loto dei chakra hanno la corolla rivolta verso il basso a indicare che devono ancora sbocciare e aprirsi, devono cioè ancora attivare tutte le loro potenzialità e lo fanno quando Kundalini li attraversa.
L’elemento a esso correlato è la terra rappresentata da uno yantra o mandala (i due termini in questo contesto possono essere intercambiabili) quadrato con 8 lance o folgori che escono disposte come la rosa dei venti. Un altro yantra compare in muladhara e cioè il triangolo chiamato Traipura o Kamarupa pervaso da un particolare soffio vitale, il kandaipa, visualizzato con l’aspetto di Kama, il dio dell’amore, rosseggiante come «dieci milioni di soli». Nel triangolo Traipura, i cui tre lati sono presidiati dalle divinità femminili Vama, Jyeshtha e Raudri, personificazioni di volontà, conoscenza e azione, risiede la dea Tripurasundari nella forma del suo bijamantra «klim».
Sempre all’interno del triangolo si trova il lingam Svayamhhu, splendido come oro fuso e a forma di germoglio avvolto su se stesso, irradiante splendore lunare, sede di Shiva dall’incarnato verde-blu.
L’imboccatura del lingam, il Brahmadvara, ovvero la «Porta di Brahma», è ostruita da Kundalini, attorcigliata a guisa di serpente tre volte e mezzo su se stessa, abbagliante come una folgore e dolcemente «ronzante» come uno sciame di api. Signora degli esseri, ammaliatrice, fonte del suono, confonde il mondo con i suoi giochi illusori e solo lo yogin riesce a dissiparne i veli.
Kundalini viene descritta come una splendida giovane assisa su un leone, con tre occhi e quattro braccia con due mani atteggiate nel gesto che dissipa la paura (mano alzata con palma visibile), ed elargisce doni (mano abbassata con palma sempre visibile), mentre regge nelle altre due un libro e un liuto.
L’organo di senso rapportato al muladhara, secondo la teoria strutturale dell’uomo e dell’universo proposta dal sistema Samkhya associato con lo Yoga classico e rimasto come struttura «filosofica» di riferimento anche nello hathayoga e nel tantrismo, è il naso, sede dell’olfatto, mentre l’organo di azione sono i piedi, in diretto contatto con la terra, ancorati a essa dalla forza di gravità ma al tempo stesso basamento che permette al corpo di alzarsi e tendere verso l’alto.
La caratteristica principale di questo chakra è la durezza, per cui la concentrazione operata su muladhara favorisce il rafforzamento e la stabilità.
Il bjamantra è «lam», cioè la lettera sanscrita «la» nasalizzata, ovvero pronunciata facendola risuonare nel naso. E' il bijamantra del dio Indra, signore degli dei nel periodo più antico della civiltà indù, quello incentrato sulle sacre raccolte dei Veda. Il bijamantra viene visualizzato come una divinità con quattro braccia, di colore giallo dorato, in groppa all’elefante Airavata, la cavalcatura di Indra, in certe raffigurazionì posteriori rappresentato nero. «Lam» è anche il bijamantra di Dhara, la dea della terra.
Nel puntino che viene posto sulla lettera dell’alfabeto sanscrito lo per nasalizzarla è inscritta un’altra divinità, il dio Brahma, signore dell’origine dell’universo, dotato di quattro volti e qui rappresentato come un fanciullo. La sua cavalcatura è l’oca bianca dal capo striato, animale che nella tradizione indù rappresenta l’anima e che viene identificato con il cigno dai traduttori occidentali.
La Shakti, l’energia cosmica femminile, qui si proietta come Dakini, terrificante dea su un loto rosso che si apre all’interno del fiore principale: questo ulteriore loto sottolinea con il suo colore acceso l’energia potente e ancora da controllare della natura. Dakini, risplendente come il sole nascente, vestita di nero, con volto feroce e occhi rossi, ha quattro braccia nelle cui mani ci sono la lancia, il khatvanga (un bastone con infilato un teschio), la spada e la tazza ricolma di liquido inebriante. Dakini purifica l’intelletto e conferisce l’illuminazione. E' ghiotta di budino di riso, zucchero e latte ed è associata al plasma, uno dei sette tessuti che la medicina tradizionale indiana, l’Ayurveda, ritiene costituire il corpo umano.
Tavola riassuntiva di Muladhara
Funzione Psicologica:Gioia di vivere, quantità di energia fisica. Sopravvivenza, sicurezza, fiducia, radici
Associazione Sensoriale: Olfatto
Sistemi Associati: Colonna vertebrale, reni, vescica, parte terminale dell'intestino, Nervi, Plesso Sacrale, hiandole, Ghiandole Surrenali
Elementi: Terra
Colori: Rosso
Nota Musicale: Do
Cristallo: Tutte le pietre rosse, in particolare il Diaspro Rosso
Profumo: cipresso, cedro, chiodi di garofano, vitiver
Bijamantra: Lam
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
II° chakra Svadhishthana, "collocato nel suo proprio posto"
È localizzato dentro la sushumna alla base dell’organo genitale.
Svadhishthana, ovvero il chakra «collocato nel suo proprio posto», appare come un loto di colore vermiglio secondo i testi antichi e arancio secondo l’esperienza di alcuni maestri yoga contemporanei; ha sei petali su cui spiccano le sei consonanti «h, bh, m, y, r, l» rilucenti come folgori.
L’elemento correlato è l’acqua, rappresentata da un bianco mandala circolare nel quale spicca una falce lunare inscritta tra due fiori di loto.
L’organo di senso rapportato allo svadhishthana è la lingua, sede del gusto, mentre l’organo di azione sono le mani e la facoltà di prendere per lo Shritattvacintamani, l’organo genitale per alcuni maestri yoga contemporanei.
La caratteristica principale di questo chakra è la fluidità e la concentrazione operata su svadhishthana favorisce l’azione rinfrescante.
Il bijamantra è «vam», cioè la lettera «va» nasalizzata, ovvero pronunciata facendola risuonare nel naso.
E' il bijamantra del dio Varuna, signore del cielo nel periodo più antico della civiltà indù, quello incentrato sulle sacre raccolte dei Veda, e quindi dio dell’oceano in tempi più recenti. Il bijamantra viene visualizzato come una divinità con in mano un laccio, di colore bianco, sul makara, un mitico mostro marino, cavalcatura di Varuna e della dea Ganga, il fiume Gange.
Nel puntino che viene posto sulla lettera dell’alfabeto sanscrito per nasalizzarla è inscritta un’altra divinità, Hari, ovvero il dio Vishnu, signore della conservazione della vita, qui rappresentato come un adolescente di incarnato blu con una veste giallo oro, dotato di quattro braccia nelle cui mani vi sono la mazza, la conchiglia, il disco affilato e il loto, con un ricciolo di peli sul petto che simboleggia la natura e una gemma sul cuore che simboleggia le anime. La sua cavalcatura è Garuda, l’avvoltoio dalle fattezze umane.
La Shakti, l’energia cosmica femminile, qui si proietta come Rakini, terrificante dea su un loto rosso, in aspetto furente, come sottolineano le zanne evidenti, ed ebbra d’ambrosia, d’incarnato blu, con tre occhi e quattro braccia nelle cui mani vi sono una lancia, un loto, un tamburello e un’ascia affilata. E' ghiotta di riso ed è associata al sangue, uno dei sette componenti che la medicina tradizionale indiana ritiene costituire il corpo.
Svadhishthana, l’ambivalenza della manifestazione
È situato alla radice del pene e nella donna a livello della cupola vaginale.
Il suo simbolo comprende andando dall’esterno verso l’interno un fiore a sei petali, con inscritto un cerchio.
Il numero 6, cui rimandano i petali, significa in Cina il numero del cielo dal punto di vista della manifestazione: il «cielo in azione» dell’esagramma ch’ien dell’I ching che ricorda molto da vicino la «forza vitale del lingam» cui rimanda il chakra; una «energia» di connotazione maschile che agisce su una «energia» di connotazione femminile, simboleggiate rispettivamente da un triangolo a punta in su e da uno a punta in giù.
In India tale simbolo rappresenta la penetrazione della yoni da parte del lingam, simbolo della spinta verso la generazione e quindi della tendenza espansiva insita nell’universo manifestato, che si mantiene nel susseguirsi di continue morti e rinascite.
Per i discendenti dei Maya è invece il simbolo ciclico della luna e segna il compimento di una evoluzione, dalla nascita alla morte; infatti, il sesto giorno per i Maya appartiene agli dei della pioggia e della tempesta e il sei è, quindi, un numero anche nefasto legato alla morte (= coccodrillo) oltre che alla generazione.
Nella Bibbia, nell’Apocalisse, l’Anticristo, la Bestia portatrice di morte è designata con tre sei: 666.
Ma sempre nella Bibbia il numero sei è ugualmente legato alla creazione; il mondo fu creato in sei giorni e la tradizione ebraica lo fa durare per sei millenni.
Lo scenario segna quindi l’opposizione (o l’unione) della crea tura al Creatore, la distinzione-separazione della creatura dal creatore (nel 1° chakra sono ancora uniti), fonte di tutte le ambivalenze della manifestazione e quindi della vita stessa, così come della morte.
Se nel 4 il Cosmo si manifesta, nel 6 si polarizza (3+3) per originare la vita e la morte e con esse l’infinita pluralità degli esseri in un continuo ciclo di morti e rinascite. L’attività del maschile e la passività del femminile, 3+3 = 6, sono qui in equilibrio instabile, sempre variabile, e proprio questa mobilità permette tutte le manifestazioni e mantiene l’espansione vitale.
Notiamo anche che il sei è quasi esattamente il rapporto della circonferenza con il raggio (2π) ed arriviamo così al secondo simbolo espresso dal chakra, ovvero la circonferenza, in quanto emanazione del centro (che nel senso più universale raffigura il Principio, simboleggiato geometricamente dal punto, come aritmeticamente lo è dall’unità), che rappresenta la manifestazione, la creazione, misurata dal raggio emanato dal Principio. Ogni raggio definisce un punto della circonferenza che simboleggia un essere scaturito dall’energia creatrice del centro (e così ritorna la «forza vitale del lingam»).
La creazione, quindi, nell’infinita molteplicità di tutte le sue forme generate dalla polarizzazione, è simbolizzata dagli infiniti punti che costituiscono la circonferenza.
Si può vedere come in questo senso la circonferenza sia analoga al numero 6 ( 3+3) ma ne ampli il senso, dando una splendida immagine delle possibilità infinite insite nella creazione e del rapporto creatore-creato in questo stadio.
Il cerchio è assimilato anche al simbolo uroborico del serpente che si morde la coda, pure simbolo ciclico dell’evoluzione e dell’eterno ritorno, del continuo ripresentarsi di morti e rinascite, nell’ inesauribilità della creazione.
Secondo alcune correnti psicologiche, la totalità multiforme espressa dall’ Uroboros rappresenta molto bene le infinite sfaccettature dell’inconscio. L’ Uroboros diviene, perciò, simbolo dell’inconscio stesso, dove tutto è presente contemporaneamente e da cui ogni singola individualità (ogni punto della circonferenza) tenta faticosamente di separarsi.
Abbiamo in questo caso: cerchio = inconscio, centro = coscienza, ovverosia una dualità analoga a quella vista in precedenza: cerchio = creato, centro = Creatore, a sua volta analoga alla polarità insita nel numero 6 3+3 ( maschile-femminile),
Le figure geometriche sono ulteriormente specificate nel loro significato da altri simboli: l’elemento di svadhishthana è l’acqua, raffigurata come acqua notturna illuminata da un quarto di luna e animata da un essere mitico composito in cui vi sono anche pesce e coccodrillo.
L’acqua, come già si è visto, è in tutti i miti «il grembo primordiale della vita» che tutto può generare (o distruggere).
Così notturna, da un punto di vista psicologico, è simbolo di un femminile inconscio e terrifico che minaccia di prevalere o ancora prevale sullo sviluppo cosciente.
Anche la luna è un diffusissimo simbolo del femminile nella sua accezione notturna, oscura, e quindi psicologicamente parlando, inconscia.
Infine la «bestia», mezzo pesce e mezzo coccodrillo, mentre da un lato suggerisce un passaggio dall’acqua all’aria e quindi uno sviluppo verso uno stadio evolutivo superiore, dall’altro nel coccodrillo, conferma la natura pericolosa e terrifica del potere contenuto nel chakra.
Il colore di questo chakra è l’arancione. E' possibile notare che i processi germinativi avvengono in una oscurità appena illuminata da un tenue fuoco. C’è qui, quindi, più calore che nel chakra precedente, perché la vita ha bisogno di un po’ di «fuoco», ma ce n’è meno che nel chakra successivo perché troppo fuoco «brucia». Lo sviluppo della vita ha bisogno, infatti, di una tiepida umidità.
Il mondo soggetto al cambiamento, cioè l’ambito dell’esistenza manifestata in tutte le sue forme, nei continui cicli di morti e rinascite, sembra essere il tema e il potere di questo chakra. Qui, paiono dire i simboli, si «incarnano» gli esseri, qui nasce la vita nelle sue forme mai esaurite. Ma con il comparire della vita, compare anche la morte; con la possibilità di una evoluzione, compare anche il pericolo di una discesa; con l’inizio di una separazione cosciente, compare anche ogni rischio di involuzione verso l’inconscio.
Possiamo individuare in questa fascia corporea l’apparato genitale, attraverso il quale si manifesta ed è possibile l’incontro delle polarità maschile-femminile, lo sviluppo delle cellule germinali, l’ovulo e lo spermatozoo, e l’apparato urinario.
I cinesi attribuiscono al rene, organo centrale di questo apparato, il significato di organo dell’ energia ancestrale, cioè dell’energia «originaria» che permette la vita dell’organismo. Spesso i reni sono anche il simbolo sia della potenza procreatrice, sia della capacità di resistenza dell’organismo (si dice, infatti, «forte di reni»).
In effetti la funzione dell’apparato renale è quella di mantenere la vita separando continuamente le scorie dalla parte buona dell’organismo, le «acque pesanti e sporche» da quelle pulite e leggere. Se questa energia che separa il «sé» dal «non sé» cessa, l’individuo muore. Se il rene funziona poco e male, la forza e l’energia dell’individuo sono scarse.
Anche il surrene racchiude un’energia capace di conservate la vita, sia attraverso l’ormone legato alla sua porzione midollare, cioè l’adrenalina (ortosimpatico) che entra in gioco nelle reazioni di difesa, sia attraverso gli ormoni legati alla sua porzione corticale, cioè i corticosteroidi (esempio cortisolo-cortisone e l’aldosterone), che pure partecipano a mantenere l’omeostasi dell’organismo anche coadiuvando l’attività renale (aldosterone).
Esaminando l’apparato renale e quello genitale si coglie l’analogia delle loro funzioni: «energia vitale in movimento», che genera la vita, le individualità, attraverso l’unione (o la separazione) di polarità. Può ciononostante stupire la collocazione topografica su piani diversi di questi due apparati. Basta, però, ricordare che lo sviluppo delle vie uro-genitali ha un denominatore comune, se lo si esamina nel corso della vita embrionale.
Entrambi gli apparati derivano, infatti, dai dotti mesonefrico e paramesonefrico (cordone uro-genitale) e hanno inizialmente
un ‘analoga collocazione topografica. Solo successivamente, dal 3° mese in poi, le gonadi migreranno per raggiungere la loro collocazione definitiva, insieme agli apparati genitali maschile o femminile, che nel frattempo si sono pure differenziati.
L’esame delle funzioni legate agli organi di svadhishthana conferma perciò il potere di generazione della vita (e della morte) legato a questo chakra, esattamente come già i simboli della ruota avevano indicato.
Tavola riassuntiva di Svadhishthana
Funzione Psicologica: Piacere mentale e spirituale, scambio fisico, qualità dell'amore, sessualità
Associazione Sensoriale: Gusto
Sistemi Associati: Organi riproduttivi, sistema urinario,
Nervi: Plesso Lombare,
Ghiandole: Ghiandole Gonadi
Elementi: Acqua
Colori: Arancio
Nota Musicale: Re
Cristallo: Tutte le pietre arancio, in particolare la Calcite, la Corniola
Profumo: Arancio, Salvia, Sandalo
Bijamantra: Vam§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
III° chakra Manipura, la "città della gemma"
È localizzato nella zona dell’ombelico.
Manipura appare come un loto di colore rosso fiammeggiante con dieci petali dal colore delle nubi della pioggia su cui spiccano altrettante consonanti di colore blu tenero: «d, dh, n (linguali), t, th, d, dh, n, p, ph».
L’elemento correlato è il fuoco, rappresentato da uno yantra triangolare che qui ha il vertice verso il basso, mentre in genere il fuoco, correlato con il maschile, è rappresentato con il vertice verso l’alto, poiché l’azione ignea è in questo contesto demandata alla Shakti.
Il triangolo è circondato da tre svastiche sui lati.
L’organo di senso rapportato al manipura sono gli occhi, sede della vista, mentre l’organo di azione è l’ano, cioè l’apparato escretore (comunque connesso anche con muladhara) che provvede a convogliare verso il basso le scorie prodotte dal processo di trasformazione e assimilazione che il fuoco compie.
La caratteristica principale di questo chakra è il calore per cui la concentrazione operata su di esso favorisce il riscaldamento e la combustione.
Il bijamantra è «ram», cioè la lettera «ra» nasalizzata.
E' il bijamantra del dio Agni, signore del fuoco montato sull’ariete, visualizzato come una divinità dal colore del sole nascente, fiammeggiante, con quattro braccia che recano in due mani il rosario e la lancia, mentre le altre due sono atteggiate nel gesto che dissipa la paura e nel gesto del dono.
Nel puntino che viene posto sulla lettera per nasalizzarla è inscritta un’altra divinità, Rudra, ovvero il dio Shiva, il dissolutore dell’universo, qui rappresentato come un vecchio di incarnato vermiglio, cosparso di cenere, con tre occhi e due braccia, le mani atteggiate nel gesto che dissipa la paura ed elargisce doni, seduto sul toro Nandin, sua cavalcatura.
La Shakti qui si proietta come Lakini, terrificante dea su un loto rosso, ebbra d’ambrosia, fiammeggiante, di colore blu scuro, vestita di giallo, con le zanne, tre volti con un terzo occhio in ciascuno, quattro braccia, con la lancia e la folgore in due mani e le altre due atteggiate nel gesto che dissipa la paura e in quello del dono.
E' ghiotta di carne ed è associata al tessuto muscolare.
Manipura, il loto dell’armonia
È situato nella zona ombelicale. Il suo nome significa: mani, «gemma grezza», appena estratta dalla terra (ratna è la gemma lavorata), pura «città». Il suo simbolo comprende, andando dall’esterno all’interno, un fiore a dieci petali con inscritto un triangolo a punta in giù.
Il numero 10 espresso dai petali del fiore è, secondo i pitagorici, la «santa Tetraktis» ovverosia il numero che descrive, raccogliendolo in sé, l’intero sviluppo della manifestazione e la cui formula numerica è: 1+2+3+4 = 10.
E' il numero perfetto che dà la conoscenza di sé e del mondo.
Anche in Cina la Tetraktis è invocata come il dio dell’armonia. Con il numero 10, quindi, tutti i «diecimila esseri» sono messi in rapporto tra loro, collegati armonicamente e in tal modo si possono «conoscere».
Il triangolo è in India il simbolo del fuoco e del sesso maschile, se ha la punta in alto (lingam); dell’acqua e del sesso femminile, se la punta è in basso (yoni).
Nell’alchimia è il simbolo del fuoco.
Il triangolo è anche l’espressione geometrica della Tetraktis. Essendo presente in questo chakra tejas, il fuoco ardente, ed essendo il suo elemento proprio il fuoco, si può ritenere che il triangolo qui raffigurato, anche se a volte presenta la punta in giù, simboleggi dal punto di vista materiale proprio il potere del fuoco con la sua capacità di distruggere e trasmutare ogni materia, separandone le componenti o coagulandole, riunendole insieme.
L’energia del chakra è ulteriormente specificata dalla presenza all’interno del triangolo di un ariete, anch’esso simbolo del potere solare, del potere del fuoco, di un’energia attiva, e di due dei, Rudra e Lakini: il primo è il trasformatore del creato, la seconda la benefattrice.
L’uno separa, l’altra riunisce permettendo a tutte le cose di entrare in rapporto tra loro.
D’altronde, come già accennato, il pianeta che le antiche scuole esoteriche fanno corrispondere a questo chakra è Mercurio, perché è appunto il simbolo della capacità di collegare, di mettere in rapporto le cose tra loro: il Mercurio alato, sospeso tra terra e cielo.
Il suo colore è il rosso: qui il calore raggiunge il massimo. Il rosso è, infatti, il colore a lunghezza d’onda più lunga ed è quello che meglio esprime l’energia del fuoco che si manifesta in questa ruota e parte del corpo.
Nella zona dove si colloca questo chakra si trova un importantissimo plesso dell’ S.N.A., il plesso solare che rappresenta il punto focale d’innervazione dell’apparato digerente: la funzione digestiva è infatti interamente «controllata» da questo plesso attraverso l’azione di due organi «cavi», lo stomaco e l’intestino, e di due importanti organi «pieni», il fegato e il pancreas.
Al fegato è legato un altro piccolo organo cavo: la cistifellea.
Questi organi permettono la digestione e l’assimilazione del cibo; ciò significa che il cibo, parte del mondo extra individuale che viene portata dentro l’individuo, arriva nello stomaco, «fornace» biologica dove, attraverso un fuoco chimico (ad esempio, l’acido cloridrico), il cibo viene digerito, «bruciato», cioè viene distrutta la sua forma e individualità, viene trasformato nelle sue componenti più semplici, anche attraverso l’azione del fegato e del pancreas, in modo tale da poter passare nell’intestino, luogo dove il cibo, ormai trasformato, viene assimilato, cioè portato nel sangue, a diretto contatto dell’individuo che lo ha mangiato, per poi divenire parte delle sue stesse cellule, cioè sua parte integrante.
In questo modo il mondo individuale e quello extraindividuale vengono in contatto, si trasformano l’uno nell’altro.
Perciò viene detto «noi siamo ciò che mangiamo», perché quel particolare tipo di «energia» che introduciamo resta dentro di noi, diviene parte di noi e, come parte che ci appartiene, possiamo anche conoscerlo (o «riconoscerlo»?).
L’apparato digerente ha, pertanto, la funzione di mettere in rapporto l’individuo con il mondo esterno attraverso un fuoco separatore e distruttore, che poi permette, però, un’assimilazione, ovverosia una benefica riunione all’interno di un’unica individualità.
Notiamo qui che la prerogativa dell’uomo di essere, unico tra tutti gli animali, onnivoro, cioè di potersi nutrire di qualsiasi cibo, lo colloca ancora una volta all’apice dell’evoluzione.
Infatti, se si prosegue in questa interpretazione del processo assimilativo e digestivo, ne consegue che l’uomo è in grado di venire in contatto, contenere, conoscere, tutte le individualità del macrocosmo, ovverosia che l’uomo è (o può essere) lo specchio integrale dell’universo, confermando l’analogia, cara all’Oriente e all’Occidente «esoterico», tra macrocosmo microcosmo.
Collegata al chakra manipura, gli yogin citano la vista. Si puo notare che la formazione embriologica delle papille ottiche (estroflessioni del tessuto nervoso cerebrale ectodermico), e successivamente dell’occhio, avviene solamente in presenza di un contatto tra la cupula del sacco vitellino (che è il primordiale apparato digerente, endodermico) e la zona delle papille ottiche.
E' singolare che il contatto sia proprio tra il foglietto più esterno, l’ectoderma, e quello più interno, l’endoderma.
L’occhio trasmette subito informazioni (cioè elementi recepiti dall’esterno) al cervello, la cui funzione di assimilare, contenere, trasformare, elaborare informazioni può essere considerata analoga, seppure su un piano più «sottile», a quella dell’intestino.
La medicina cinese ha sempre sottolineato il rapporto tra fegato (quindi funzione digerente) e occhio, come appartenenti a un «sistema» comune. Anche per la medicina occidentale sono evidenti i rapporti tra le patologie epatiche e l’occhio (l’occhio giallo dell’itterico, l’occhio arrossato del cirrotico...).
Infine, la vista è indubbiamente il senso che permette di «ingerire» il maggior numero di particolari del mondo esterno contemporaneamente (almeno per l’uomo in cui si sono affievoliti gli altri sensi) per consentire al cervello di «assimilarli».
<
Tavola riassuntiva di Manipura
Funzione Psicologica: Capacità di provare piacere, espansività, consapevolezza della vita, azione, volontà
Associazione Sensoriale: Vista
Sistemi Associati: Milza, colon trasversale, fegato, stomaco, intestino tenue
Nervi: Plesso Solare
Ghiandole: Pancreas
Elementi: Fuoco
Colori: Giallo
Nota Musicale: Mi
Cristallo: Tutte le pietre gialle, in particolare la Calcite, il Citrino, il Topazio
Profumo: Bergamotto, Limone, Rosmarino
Bijamantra: Ram
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
IV° chakra Anahata, "risuonante senza percussione"
È localizzato nel cuore ed è il luogo dove risuona il mistico suono «ottenuto senza percussione», eco della prima vibrazione-fremito dell’universo in procinto di manifestarsi.
E' un loto di colore verde, con dodici petali su cui spiccano altrettante consonanti vermiglie: k, kh, g, gh, n (gutturale), c, ch, j, jh, n (palatale), t, th (linguali)
L’elemento correlato è l’aria rappresentata dallo yantra grigio fumo costituito da due triangoli che si intersecano formando una stella a sei punte, simbolo centrale d’equilibrio. E' lo yantra di Vayu, il dio del vento.
L’organo di senso rapportato all’anahata è la pelle, sede del tatto, mentre l’organo di azione sono i genitali per lo Shritattvacintamani, le mani e la facoltà di prendere per alcuni maestri yoga contemporanei.
La caratteristica principale di questo chakra è la mobilità, per cui la concentrazione operata sull’anahata fa muovere ciò che si desidera.
Il bijamantra «yam», cioè la lettera «ya» nasalizzata, è quello del dio Pavana, signore del vento, rappresentato come una divinità dal colore grigio fumo, con quattro braccia, il pungolo in una mano, seduto su un’antilope nera.
Nel puntino che viene posto sulla lettera per nasalizzarla è inscritto Isha, altro aspetto del dio Shiva, qui rappresentato di colore bianco come un cigno, con tre occhi e le due mani atteggiate nel gesto che dissipa la paura e in quello che elargisce doni.
La Shakti si proietta come Kakini, su un loto rosso, ebbra e addolcita dalle libagioni di ambrosia, di incarnato giallo come il lampo, vestita con una pelle di antilope nera, ornata di gioielli e di una ghirlanda di ossa, con tre occhi e quattro braccia, con il nodo scorsoio e il cranio in due mani e le altre due atteggiate nel gesto che dissipa la paura e in quello che elargisce doni.
E' ghiotta di riso e giuncata ed è associata al grasso, uno dei sette tessuti che secondo l’Ayurveda costituiscono il corpo.
Altri simboli compaiono in anahata: un triangolo con il vertice verso il basso che, quindi, rimanda sempre alla Shakti e che ospita il lingam Vana, aspetto aniconico di Shiva ornato dalla mezzaluna nei capelli, splendente come l’oro; l’hamsa, l’ocacigno che simboleggia l’anima incarnata, considerata come la fiamma di una lampada non agitata dal vento; il sole, i cui raggi illuminano i filamenti del pericarpo; un loto rosso a otto petali nel quale sorge il kalpataru, l’albero che esaudisce tutti i desideri ai piedi del quale, su un altare di gioielli e sotto un prezioso baldacchino, siede nel plenilunio la divinità d’elezione dello yogin, quell’immagine divina che più gli è consona in quanto incarna le virtù che egli si prefigge di realizzare.
Anahata, il ciclo compiuto
È situato dietro lo sterno, al centro del torace.
Il suo simbolo comprende, andando dall’esterno verso l’interno, un fiore a dodici petali e una stella a sei punte.
Il numero 12 rappresenta il ciclo completo per eccellenza: 12 sono i mesi dell’anno, 12 gli aspetti del sole cioè i 12 Aditya della tradizione indù che appaiono sotto la forma dei 12 frutti dell’Albero della vita, il quale, posto al centro della città (così come anahata è posto al centro del corpo), dà il suo frutto ogni mese secondo le 12 posizioni successive del sole nello zodiaco nel corso del ciclo annuale.
Sono, infatti, 12 i segni dello zodiaco e ciascuno di essi esprime una fase evolutiva, praticamente identica in tutti i paesi e in tutte le epoche. Compiute tutte le fasi evolutive, il cerchio è completo. Sono 12 le tappe attraverso cui passare affinché un ciclo si compia e quando un ciclo si è compiuto, tutto ricominda capo. Un ciclo, quindi, comprende tutto ciò che si deve attuare, tutte le fasi, tutti i passaggi, in spirito e materia, compiuti e in perfetto equilibrio.
L’equilibrio e la compiutezza del ciclo di evoluzione è sancito ulteriormente dalla stella a sei punte contenuta nel fiore.
La stella a sei punte è costituita dalla congiunzione di due triangoli rovesciati che si intersecano dividendosi in parti tutte perfettamente uguali. Qui tutte le dualità che la manifestazione produce sono in perfetto e stabile equilibrio.
Il maschile e il femminile si compenetrano con uguale forza, cielo e la terra hanno la medesima parte, e così lo spirito e la materia, il mentale e il fisico, gli istinti e la ragione, la natura celeste e quella terrestre: ogni coppia di contrari può trovare in questo luogo la sua rappacificazione, la misura perfetta.
L’energia del chakra che garantisce questo equilibrio, che attira i contrari (o complementari?) e li mantiene uniti stabilmente ed equamente, è l’Amore.
Inoltre, la stella a sei punte in Occidente è il sigillo di Salomone o scudo di David, che esprime ugualmente la congiunzione di due opposti in equilibrio e che rappresenta, per tanto, la virtù della saggezza.
La stella a sei punte è anche il simbolo del macrocosmo o Uomo Universale, che unendo in sé due nature, la celeste nel triangolo diritto e la terrestre nel triangolo rovesciato, è appunto per questo il mediatore per eccellenza (Cristo ne è un esempio); questa funzione viene esercitata solo relativamente a uno stato particolare di esistenza mentre la stella a cinque punte è il Microcosmo o l’uomo comune.
Nell’anahata chakra l’uomo raggiunge perciò la sua massima evoluzione, la sua completa individualità nell’equilibrio, nell’amore, nella saggezza. Diventa l’asse centrale del cosmo e si prepara per le evoluzioni successive.
Questi simboli sono ulteriormente specificati dall’elemento del chakra che è l’aria, la materia più «sottile», estrema rarefazione di materie più pesanti, contenente il prana, insostituibile energia vitale, e dal veicolo della ruota che è l’antilope nera, simbolo del dio del vento chiamato Pavana.
Il colore è il verde, colore di acquietamento, di equilibrio, di pace; né caldo, né freddo, dove il giallo della terra e il blu dell cielo si congiungono (natura terrestre+natura celeste).
Sul piano fisico troviamo qui racolte in un’unica fascia le tre funzioni centrali per la vita dell’individuo: cardiaca = sistema chiuso-involontario; respiratoria = sistema aperto-anche volontario; immunitaria = sistema che controlla l’equilibrio interno ed esterno.
Il cuore distribuisce a tutto l’organismo, attraverso il sistema circolatorio, il sangue che contiene l’ossigeno fissato nei polmoni durante l’ispirazione. E' qui, come un sole che diffonde la sua energia, un fuoco che, invece di bruciare, irraggia il suo calore, scaldando e diffondendo la vita.
L’ossigeno è tra l’altro, da un punto di vista alchimistico, un elemento solare: il fuoco può bruciare solo in presenza di ossigeno.
Al cuore ritorna l’anidride carbonica che verrà immessa nell’ambiente durante l’espirazione.
È così un ciclo completo, scandito dal ripetersi ritmico delle sistoli, forza centrifuga che invia il sangue al corpo, e delle diastoli, forza centripeta che riporta il sangue al cuore. Due fasi complementari, attiva e passiva, nascita (la sistole) e morte (la diastole), che si ripetono in continuazione, ciclo dopo ciclo, e devono essere in perfetto equilibrio perché l’individuo esista.
Il sistema cardiaco è completamente involontario. L'innervazione del cuore, così come quella dei polmoni (plessi polmonare e cardiaco), proviene, per quanto riguarda l’ortosimpatico, dalla fascia compresa tra la terza vertebra cervicale e la quinta dorsale, coinvolgendo il primo, secondo e terzo ganglio cervicale e i primi gangli toracici; per quanto riguarda il parasirnpatico, dal nervo vago che proviene dal tronco encefalico.
Il sistema ortosimpatico aumenta la frequenza del battito cardiaco e la forza di contrazione mentre, per contro, il parasimpatico ha una funzione di decelerazione del battito.
Può sembrare strana la posizione così alta della zona di provenienza di questi nervi ma, ancora una volta, basta risalire allo sviluppo embriologico per spiegare quest’apparente sfasatura. Infatti, nelle primissime fasi di sviluppo embrionale, durante il processo della gastrulazione, una parte del mesoderma migra fino al davanti della membrana faringea e si unisce con la parte omologa del lato opposto (tubo cardiaco) formando l’abbozzo cardiaco, che solo successivamente si collocherà in posizione più ventrale (con la delimitazione del corpo dell’embrione al 22°gg). Ma l’innervazione resterà legata ai metameri cervicali del suo iniziale sviluppo. Tali metameri sono legati anche allo sviluppo delle braccia. Questo collegamento spiega perché si possono avere dolori legati al braccio in patologie di origine cardiaca (ad esempio, angina e infarto).
I polmoni, analogamente all’apparato digerente, mettono in comunicazione l’interno con l’esterno, sono un tramite tra l’individuo e il cosmo, ma per un’energia più sottile di quella alimentare, più pura. D’altronde, in stadi più antichi della filogenesi, la funzione respiratoria e quella digerente erano indifferenziate: elementi «pesanti» ed elementi «sottili» entravano insieme nell’organismo.
Ancora oggi le specie filogeneticamente più primitive (pesci) mantengono un unico condotto utilizzato sia per l’alimentazione che per la respirazione (estroflessione nelle pareti laterali del canale digerente), mentre negli altri animali e nell’uomo si sviluppa una separazione tra le due funzioni: dalla faringe si differenzia un «sacchetto» che diventerà il polmone che, quindi, è di derivazione comune con il digerente.
In questo caso si sta evolvendo una possibilità di estrarre una materia più sottile, di separare il leggero dal pesante.
Il polmone, infatti, capta il prana del cosmo e lo «fa» individuo, mette in comunicazione il «sole» esterno (ossigeno) con il «sole» interno (cuore).
E' anche l’apparato respiratorio scandisce un ciclo completo attraverso ogni inspirazione ed espirazione che, a loro volta, sono forza centripeta e forza centrifuga, nascita e morte, passività e attività, riuniti in un ritmo di perfetto equilibrio.
Ma, a differenza dell’attività cardiaca, quella respiratoria è anche volontaria, cioè può essere diretta, modificata, guidata dalla coscienza. Proprio a questo filo (la possibilità di controllo volontario) si attacca lo yogin per controllare, attraverso la respirazione, l’intero organismo con le sue funzioni di per sé lontane dal dominio della coscienza. C’è, quindi, in questa ruota anche l’equilibrio della dualità conscio-inconscio, come previsto dal ciclo espresso dal numero 12.
Infine, il timo si trova tra lo sterno e il cuore, proprio davanti a quest’ultimo. E' una ghiandola estremamente importante perché permette la nascita e lo sviluppo del sistema immunitario. Si sviluppa in epoca prenatale e mantiene la sua piena funzionalità fino all’adolescenza. Raggiunta questa età (in cui tra l’altro l’individualità anche psicologica si è strutturata), va incontro a una progressiva involuzione, fino a ridursi a una piccola massa di tessuto adiposo. La sua presenza è fondamentale, affinché appaiano nell’organismo gli anticorpi che andranno a popolare tutte le ghiandole linfatiche dell’organismo.
Anche il timo, come il polmone, prende origine dalla faringe e deriva, quindi, dal medesimo foglietto embrionale (l’endoderma).
Mancando il timo, la capacità immunitaria non si sviluppa e pertanto manca la possibilità organica di distinguere il sé da ciò che è altro da sé, l’aggredito dall’aggressore. Manca la possibilità di equilibrare i contrari, di difendere la propria individualità.
Il timo, in questo senso, garantisce l’instaurarsi del mantenimento di un armonioso equilibrio tra interno ed esterno, costituendo così il centro dell’esistenza dell’individuo, la sua possibilità di riconoscersi.
Anche negli organi dell’ anahata chakra ritroviamo, perciò, cicli caratterizzati da complementarità di ritmi e di funzioni che, nel loro equilibrio, definiscono l’individualità dell’uomo.
Tavola riassuntiva di Anahata
Funzione Psicologica: Sentimenti d'amore per gli esseri umani, apertura alla vita, relazioni, donare
Associazione Sensoriale: Tatto
Sistemi Associati: Cuore, bronchi, apparato respiratorio, nervo vago
Nervi: Plesso Cardiaco
Ghiandole: Timo
Elementi: Aria
Colori: Verde
Nota Musicale: Fa
Cristallo: Tutte le pietre verdi, in particolare la Avventurina, la Tormalina
Profumo: Mirto, rosa, geranio
Bijamantra: Yam§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
V° chakra Vishuddha, il "purissimo"
È localizzato nella gola ed è «puro», come dice il suo nome, poiché ormai lo yogin nel suo cammino di ascesa e di riattivazione dei chakra si è purificato.
Vishuddha appare come un loto di colore porpora, secondo lo Shritattvacintamani, turchese, secondo altre scuole più recenti, con sedici petali su cui sono rappresentate vermiglie le sedici vocali dell’alfabeto sanscrito: a (breve), a (lunga), i ( breve), i (lunga), u (breve),
u (lunga), r (considerata vocale, breve), r (lunga), l (considerata vocale, breve), l (lunga), e, ai, o, au, n (quale nasalizzazione), h (quale mezza aspirazione).
L’elemento correlato è l’etere (anche nel senso di spazio), rappresentato da un mandala circolare bianco come la luna piena.
L’organo di senso rapportato al vishuddha è l’orecchio, sede dell’udito, mentre l’organo di azione è la bocca.
La caratteristica principale di questo chakra è il vuoto, per cui la concentrazione operata sul vishuddha realizza il vuoto.
Il bijamantra «ham», cioè la lettera «ha» nasalizzata, è quello della regione eterea, rappresentato come un dio dal colore bianco niveo, con quattro braccia, con il nodo e il pungolo in due mani e le altre due atteggiate nel gesto che dissipa la paura e in quello che elargisce doni, seduto su un elefante bianco.
In alcune raffigurazioni più recenti in vishuddha compare anche un elefante bianco.
Nel puntino posto sulla lettera per nasalizzarla è inscritto Sadashiva, altro aspetto del dio Shiva, bianco come la neve, con cinque visi con tre occhi ciascuno e dieci braccia le cui mani recano il tridente, l’ascia, il coltello, la folgore, la fiamma, il serpente, la campana, il pungolo, il nodo e fanno il gesto che dissipa la paura, vestito di una pelle di tigre, i cobra avvolti attorno al collo e alle braccia e nei capelli la falce lunare con la punta rivolta verso il basso e stillante ambrosia. Sadashiva è unito alla sua sposa Parvati, qui chiamata Girija, in maniera tanto stretta da formare una figura androgina, cosicché l’immagine appare in parte argentea e in parte aurea, in quanto Girija ha il colore dell’oro; la cavalcatura è il toro Nandin, bianco in quanto simboleggia il controllo e la sublimazione dell’energia naturale rappresentata da questo animale, le cui corna rimandano all’ambito lunare e quindi alla mezzaluna che orna i capelli di Sadashiva.
La Shakti qui si proietta come Shakini, assisa su un mucchio di ossa, bianca come l’oceano di latte, vestita di giallo, con cinque visi e tre occhi in ognuno di essi, con le quattro braccia che recano in mano l’arco, la freccia, il nodo scorsoio e il pungolo.
E' ghiotta di latticini ed è associata alle ossa, uno dei sette tessuti costitutivi del corpo.
Sempre in vishuddha, dentro la regione eterea rappresentata dallo yantra circolare, vi è un triangolo con inscritta la regione della luna, un cerchio che ne simboleggia la pienezza.
Vishuddha,la realizzazione dell’autocoscienza
È situato nella gola, all’altezza dellla tiroide.
Il suo simbolo comprende, andando dall’esterno verso l’interno, un fiore a sedici petali (4x4) con inscritto un triangolo a punta in giù con dentro un cerchio.
Il numero 16 è il quadrato di quattro, ovvero il quadrato che si moltiplica per se stesso. Come giù sappiamo, il 4 e la sua rappresentazione geometrica, il quadrato, sono in tutte le tradizioni i simboli della manifestazione universale, della materializzazione del cosmo.
Ora, con l’aggiunta di una seconda dimensione, descritta dalla sua elevazione al quadrato (4x4 = 4 alla seconda), il quaternario può rispecchiarsi in se stesso, riflettersi. Il 16 diviene perciò il simbolo della manifestazione che ha raggiunto la capacita, moltiplicandosi per se stessa o proiettandosi in una nuova dimensione, di potersi «vedere», di autocontemplarsi.
Ciò, per traslato, rappresenta il percorso dello sviluppo psichico con la sua capacità di «rendersi conto di sé», di acquistare autocoscienza.
I pitagorici giuravano «per il quadrato di quattro», come a dire per la conoscenza del cosmo o per la coscienza dell’uomo.
L’evidenziazione del quaternario corrisponde, infatti, al punto di vista cosmologico, cioè relativo alla conoscenza del cosmo, e ugualmente corrisponde alla presa di coscienza dell’uomo da parte di se stesso.
Il triangolo, figura geometrica del ternario, è qui simbolo di un fuoco virtuale, generatore e trasformatore, dell’energia necessaria per ogni esistenza. La punta diretta verso il basso significa che agisce sulla materia terra; la punta diretta verso l’alto significa che viene privilegiato l’aspetto creativo rivolto verso lo spirito cielo.
Il cerchio è qui simbolo dell’unità indivisa che precede ed è in tutto; l’onnipotenzialità iniziale, che è necessario recuperare per passare ad altra forma. È infatti interno al triangolo, che ne rappresenta il passaggio successivo, ne è il suo nucleo, il seme primordiale.
Sul piano della manifestazione è la flessibilità onnipotente dell’acqua da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna.
In tutte le tradizioni il destino dell’acqua è «quello di precedere la creazione e di riassorbirla... Tutto ciò che è forma si manifesta al di sopra delle acque, staccandosi da esse.., e ogni forma si rigenera (solo) tramite immersione nelle acque». Nell’acqua la forma si dissolve e solo dopo questa dissoluzione può rinascere.
Questo è anche il simbolismo del battesimo nella nostra tradizione cristiana, come rinascita dopo la morte simbolica nell’acqua.
Nel simbolo di vishuddha l’acqua è circoscritta dal triangolo che rinforza e sottolinea, in quanto fuoco generatore, la spinta di ciò che passa attraverso quest’acqua verso nuove modalità dell’essere.
Questo chakra che riunisce in sé i tre simboli geometrici fondamentali, per il loro significato congiunto, sembra sancire l’inizio di una nuova esistenza, di una nuova modalità dell’essere.
La materia (quadrato), ritrovata la sua onnipotenza iniziale (cerchio), viene diretta (triangolo) verso un nuovo piano di manifestazione (quadrato di 4), che la «riflette» e da dove si può contemplare.
Le figure geometriche sono completate e meglio specificate da ulteriori simboli. Vi è l’elefante, che qui è bianco, come a volere simboleggiare l’avvento della luce o, in termini psicologici, della coscienza; la memoria diviene cosciente: il bianco, infatti, è contrapposto al nero del primo elefante e rappresenta la luce che illumina le tenebre dell’inconscio. Rimanda, in questo senso, al manifestarsi di capacità di apprendimento memorizzazione e linguaggio.
Il dio con il tridente sancisce il potere sui tre mondi raggiunto in questo chakra: asura-umano-divino.
Il potere sui mondi manifestati è confermato dalla presenza del serpente che simbolizza qui il potere sullo scorrere dei tempo in quanto attributo proprio della manifestazione. «Ogni forma, non appena si è staccata dalle acque, non appena ha cessato di essere virtuale, ricade sotto la legge del Tempo e della Vita».
La dea seduta sulle ossa riconferma il raggiunto potere sulla materia e sull’individualità, il cui nucleo inestinguibile sarebbe presente secondo alcune tradizioni proprio nelle ossa.
Da quanto appare esaminando i simboli di vishuddha, questo chakra rappresenta un particolare tipo, o livello, o configurazione di energia, che pare costituire un punto di passaggio e trasformazione dell’energia/materia corporea dal basso verso l’alto o viceversa.
Un punto dove è possibile la creazione e l’esteriorizzazione di nuova materia. Un centro dove è raggiunto un potere-controllo sulla manifestazione corporea.
Esattamente nel punto dove gli yogin collocano il chakra si trova un’importantissima ghiandola, la tiroide, con annesse quattro piccole ghiandole, le paratiroidi.
Inoltre, uguale collocazione topografica hanno, nella parte più interna della gola, le corde vocali sede dei suoni articolati ovvero della parola e della capacità di linguaggio che è l’espressione cosciente del concetto.
La tiroide, di derivazione endodermica, si sviluppa dal pavimento della faringe primitiva le cui cellule, a uno stadio molto precoce dell’evoluzione dei vertebrati, avevano acquistato la capacità di captare lo iodio sciolto nei liquidi dell’organismo.
Il peduncolo, che nell’embrione unisce la tiroide al pavimento della faringe, di solito scompare nell’adulto.
In alcune specie di elasmobranchi (classe di pesci) permane tuttavia un dotto che si apre nel pavimento della faringe.
A più riprese gli yogin parlano della possibilità di «riattivare vecchi circuiti energetici» e molto spesso nel percorso filogenetico si trovano «passaggi», «collegamenti» ormai persi, ma che un tempo hanno avuto significato funzionale.
Gli ormoni della tiroide sono di due tipi: iodio-tironine e calcitonina.
Tramite le iodio-tironine la tiroide regola tutti i processi metabolici e gli scambi energetici, in particolare attraverso il metabolismo dei glicidi (gli zuccheri). Il cervello utilizza per le sue funzioni quasi unicamente glicidi.
La tiroide influenza la crescita corporea e, in particolare, lo sviluppo del cervello, aumentando, per esempio, il numero delle sinapsi, cioè dei collegamenti tra cellule nervose. Inoltre, influenza lo sviluppo sessuale.
Le iodio-tironine esplicano la loro funzione mediante la captazione di iodio che viene legato a particolari aminoacidi nel surrene.
La capacità di accumulare iodio è presente già in alcuni tipi di alghe marine e viene poi sviluppata dai primi vertebrati. Nei rettili è tale elemento a influenzare la muta dell’epidermide (trasformazione di stato). Negli anfibi la tiroide determina la possibilità di metamorfosi.
Nei mammiferi la tiroide permette di completare armonicamente la crescita.
Nell’uomo permette di raggiungere un normale livello intellettivo, di sviluppare la coscienza.
Lo iodio è presente fondamentalmente nell’acqua di mare, utero primordiale della vita.
La carenza di iodio comporta, infatti, anche una mancata maturazione sessuale, cioè un blocco dell’attività del secondo chakra.
Inoltre, anche il cortico surrene è legato alla memoria e all’apprendimento. Un legame tra svadhishthana e vishuddha è presente anche per ciò che riguarda il metabolismo del calcio, e pertanto delle ossa, come «energia primordiale» (svadhishthana) e sua «trasformazione» (vishuddha).
La possibilità di catturare calcio dal mondo esterno e farlo proprio è, infatti, primitivamente legata al rene che è in grado di attivare la vitamina D, permettendole di legare il calcio nell’intestino. Il destino del calcio, in seguito, è invece diretto dalla tiroide.
Questa ghiandola, tramite le iodio-tironine, sembra quindi guidare e regolare, ovvero essere alla base di un passaggio a una tappa successiva dello sviluppo psico-fisico.
Tramite la calcitonina la tiroide ha effetto ipocalcemizzante e ipofosforemizzante: inibisce, cioè, il riassorbimento osseo e rallenta la degradazione del collagene scheletrico (che comporta la diminuzione dell’idrossiprolina nelle urine). Inibisce la perdita di calcio.
Favorisce, cioè, la stabilità dell’osso dirigendo il calcio dal sangue (ipocalcemia) verso l’osso e trattenendolo a livello renale.
Per quanto riguarda invece le paratiroidi, il loro ormone si chiama paratormone (PTH). Esso ha un’azione complementare alla calcitonina, cioè ipercalcemizzante. Regola la distribuzione di calcio e di fosforo nelle ossa (idrossiapatite di calcio). Promuove l’attività di riassorbimento dell’osso, nel senso che, se nel sangue c’è un tasso basso di calcio, il PTH lo preleva dalle ossa e lo dirige nel sangue.
Inoltre, ne favorisce l’assorbimento dall’ambiente esterno. Il PTH, infatti, media la sintesi di vitamina D «attivata».
Ogni giorno 700-800 mg. di calcio possono uscire o entrare nelle ossa. La vitamina D, attivata e trasmessa all’intestino, permette l’assorbimento di calcio e fosfati, il cui successivo destino viene regolato dalla calcitonina e dal PTH.
Nell’uomo, con l’avanzare dell’età, vi è una progressiva riduzione della calcemia, dell’assorbimento intestinale del calcio e della calcitonina, e un aumento del PTH che tenta di ristabilire la calcemia.
Ciò determina una progressiva osteoporosi, una rarefazione della materia, forse una preparazione a un passaggio verso una dimensione più spirituale?
Esaminando le funzioni che contraddistinguono queste ghiandole, possiamo dire che la tiroide e le paratiroidi governano la «stabilità» della materia corporea, la sua maggiore o minore «materializzazione» verso la sintesi di tessuti, o energizzazione verso l’apparizione e la stabilizzazione delle facoltà intellettive e la creazione di idee, permettendo così all’uomo di esprimere coscienza e autocoscienza.
Rappresentano, cioè, un punto nodale di passaggio di energia dal basso verso l’alto e viceversa e di esteriorizzazione di questa energia trasformata (ad esempio, la formulazione di idee), proprio come avevamo visto accadere esaminando le funzioni espresse dalla simbologia del chakra corrispondente.
Tavola riassuntiva di Vishudda
Funzione Psicologica: Capacità di recepire e assimilare, abbondanza
Associazione Sensoriale: Udito
Sistemi Associati: Gola, tonsille, laringe, corde vocali, esofago
Nervi: Plesso Cervicale
Ghiandole: Tiroide
Elementi: Etere
Colori: Azzurro
Nota Musicale: Sol
Cristallo: Tutte le pietre azzurre, in particolare la Sodalite, il Calcedonio
Profumo: Lavanda, Eucalipto, Neroli
Bijamantra: Ham
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
VI° chakra Ajna, "ove si realizza il comando"
È localizzato tra le sopracciglia, in mezzo alla fronte, nella posizione del terzo occhio.
Ajna, il chakra «dove si realizza il comando», appare come un loto di colore lunare, bianco splendente, con due petali con inscritte pure in bianco le lettere ha e ksha. Per taluni maestri il chakra si visualizza anche di colore viola.
Seguendo sempre la struttura proposta dal Samkhya, che vede associati i cinque elementi fondamentali dell’universo, terra, acqua, fuoco, aria ed etere/spazio, con i primi cinque chakra, in questo si ritrova la dimensione mentale sottile, il senso dell’ego e l’intelletto.
Come yantra troviamo il triangolo che chiaramente simboleggia la Shakti nella sua forma di yoni, «matrice» cosmica con inserito il lingam Itara, cioè Shiva nella sua forma fallica, fulgido come una serie di lampi, bianco cristallino e con tre occhi.
Vi è inscritto «aum», la mistica sillaba origine di tutti i mantra, coronata dalla nasalizzazione che appare come la fiamma di una lampada, che simboleggia l’anima intesa come puro intelletto, la buddhi del Samkhya, e illumina con il suo splendore citrini, la parte più interna della sushumna che qui sfocia.
La Shakti qui si proietta come Hakini, su un loto non più rosso ma bianco, evidente simbolo di pacificazione e purificazione bianca, con sei volti e tre occhi in ognuno di essi e sei braccia che recano in mano un rosario, un teschio, un tamburello e un libro e sono atteggiate nel gesto che dissipa la paura e in quello che elargisce doni.
E' associata al midollo, sesto tessuto costitutivo del corpo umano secondo l’Ayurveda. Il settimo, lo sperma, viene collegato, ma non da tutti i maestri però, al chakra seguente.
L’attivazione di questo chakra coincide con l’apparizione di una luce abbacinante, una corrente luminosa che unisce muladhara a sahasrara, l’ultimo chakra che sovrasta ajna, e in questo bagliore si manifesta Paramasiva, il Supremo Signore nella sua piena potenza, sotto forma di hamsa nella candida e circolare regione della luna.
Ajna, uno che diviene due
È l’ultimo chakra collocato all’interno del corpo fisico.
E' situato tra le sopracciglia, esattamente in mezzo alla fronte; il suo simbolo comprende un fiore a due petali: sul fiore di destra è rappresentato il sole, su quello di sinistra la luna oppure, più comunemente, due lettere sanscrite.
Nel fiore è inscritto un triangolo a punta in giù, che si congiunge con un lingam.
L’elemento è l’etere.
Il 2 è il numero della prima polarizzazione. Qui i due termini iniziali, virtuali, sono rappresentati coesistenti, sole e luna, e nell’atto di riunirsi: il lingam che letteralmente penetra il vertice del triangolo, la yoni, come per generare.
Ciò che è generato dal 2 è in primo luogo il 3, principio a sua volta ancora immanifesto, ma base e creatore di tutte le cose.
Conferma a questo proposito il Tao-te-ching: «Uno ha prodotto 2, 2 ha prodotto 3, 3 ha prodotto tutti i numeri», pertanto il 2 è il simbolo di tutte le dualità per cui esistiamo, così cielo e terra sono la polarizzazione dell’unità primordiale, il processo della manifestazione cosmica che implica la separazione in due metà dell’uovo del mondo.
«Io sono una che diviene due» ribadisce un’antica iscrizione egiziana, e nessuna cosa in effetti è concepibile senza che immediatamente si concepisca anche il suo contrario: due è maschile e femminile, luce e buio, manifesto e non manifesto, mortale e immortale, io e sé, bianco e nero, buono e cattivo. Yin e yang sono il perfetto simbolismo, anche grafico, di questa dualità implicita nell’esistenza.
E' impossibile eliminare la dualità del pensiero perché, proprio a causa di questa dualità, esso esiste.
Il 2 esprime, perciò, l’archetipo di tutte le complementarità esistenti. E' il simbolo, quindi, di tutte le dualità, ovvero di tutto ciò che è presente o può essere presente nel cosmo-microcosmo.
In questo senso qui risiede, dunque, il potere che sovrintende e dirige la possibilità di ogni manifestazione o non manifestazione del corpo e della mente, della materia e dello spirito. E' il centro che dà il via, l’assoluta potenzialità, come dice il suo nome stesso, ajna, «centro del comando». Inoltre ajna, contenendo il germe di tutte le dualità, è anche implicitamente la possibilità di conoscerle a priori, avendole in sé come acquisizione diretta, prima ancora che si manifestino; cioè, per esteso, la possibilità di preveggenza, come d’altronde sembra confermare un altro nome che gli viene attribuito: «terzo occhio».
Il triangolo a punta in giù qui è senz’altro simbolo del femminile o volontà diretta verso la manifestazione, penetrato dal lingam maschile, o volontà diretta verso il non manifesto. Le due immagini costituiscono, a loro volta, uno dei simboli più presenti nell’immaginario umano della dualità che, fecondandosi, origina il tre e quindi «i mille esseri». L’india è veramente piena di tali immagini, yoni e lingam uniti, come a rammentare continuamente che tutto ciò che appare non è che un'infinita ripetizione e concretizzazione di questa prima virtuale polarità.
Questo chakra, letto attraverso alcuni dei suoi simboli, rappresenterebbe quindi la possibilità di sovrintendere a ciò che sta sotto come a ciò che sta sopra ovvero di autodeterminarsi; la possibilità di terminare il processo di individuazione, svincolandosi dal mondo esterno, cioè dall’apparenza delle separazioni, come conseguenza dell’acquisita capacità di superamento delle dualità (il due converge in uno) e dei cicli di morte—rinascita. La coscienza di questo chakra apre e fa cadere il «velo di maya», l’illusione delle apparenze del mondo.
Rappresenterebbe anche il potere di vedere-sapere ciò che non è ancora accaduto, ma sta per accadere.
Nel settore individuato da questo chakra si trovano il diencefalo e due ghiandole di importanza fondamentale per il controllo e la regolazione il tutto l’organismo: l’ipofisi e l’epifisi.
L’ipofisi pende circa al centro della parte inferiore dell’enfalo, al di sotto del terzo ventricolo, ed è accolta in una nicchia dell’osso sfenoide chiamata, a causa della sua forma, sella turcica.
E' composta da due parti fondamentali, di derivazione ectodermica: la neuro—ipofisi, derivata dal pavimento del diencefalo (contiene un recesso del terzo ventricolo), e l’adeno-ipolisi, derivata dalla volta dello stomodeo, cioè dalla cavità buccale primitiva.
In alcune specie animali rimane, a testimonianza di questa derivazione e della primitiva sede di eliminazione del secreto ipofisario, un dotto di comunicazione tra l’ipofisi e la cavità buccale (in alcuni pesci; in alcuni rettili e uccelli rimane solo un cordone chiuso).
Queste ancestrali vie di comunicazione tra compartimenti del corpo, che nell’uomo appaiono completamente separati, costringono a riflettere sulle parole degli yogin che affermano di poter riattivare percorsi e comunicazioni all’interno del corpo, normalmente chiusi.
Gli ormoni dell’adeno-ipofisi sono STH-ormone della crescita; TSH-ormone che stimola la tiroide; ACTH-ormone che stimola il corticosurrene; FSH-ormone che stimola la crescita del follicolo ovarico; LH-ormone che stimola il corpo luteo (nei maschi le cellule interstiziali); PRL-ormone che stimola la lattazzione. L’ormone della parte intermedia è l’MSH-ormone melanocito stimolante (regola la pigmentazione della pelle).
La neuro-ipofisi non sintetizza ormoni, ma accumula e libera i neuro-secreti accumulati dall’ipotalamo; i più importanti sono l’ossitocina, che stimola le contrazioni uterine e la fuoriuscita del latte dalla mammella, e la vasopressina, che stimola il riassorbimento dell’acqua nel rene.
Come si vede, l’ipofisi controlla tutto l’organismo, perché controlla le ghiandole endocrine. Ciò che avviene nel sistema diencefalo-ipofisario prefigura, quindi, le modificazioni corporee o psichiche che si manifesteranno nell’individuo. Una disfunzione di questo sistema comporterà, pertanto, uno squilibrio in tutte le funzioni psico-fisiche dell’individuo.
Osservando il ruolo dell’ipofisi nell’organismo possiamo dire, servendoci di un linguaggio figurato ma attinente alla realtà, che questa ghiandola (o meglio, il sistema diencefalo-ipofisario) rappresenta «l’ordine costituito», la «regalità» che governa, la capacità di prefigurare, proiettarsi, integrare, controllare tutte le funzioni del corpo, ovvero, per lo yoga, ciò che esiste nel «microcosmo».
Se nella tradizione orientale dello yoga ajna è «il centro del comando», nella tradizione alchemica occidentale ritroviamo l’ipofìsi simboleggiata da Giove, il re degli Dei, colui che dispone e e controlla l’operato di tutti al di sotto di lui.
D’altra parte la mitologia greca ci ricorda che Giove è a sua volta figlio di Saturno, il primo dio nato, l’Antico dei giorni, la forza costringente, il determinismo, colui che costringe gli spazi liberi e luminosi nella scura materia. Nella tradizione alchemica, questo dio primigenio è posto a simbolo di un’altra ghiandola che si trova nella sfera di influenza dell’ajna chakra e a cui forse meglio ancora si adatta l’attributo di «terzo occhio», l’epifisi, piccola ghiandola a forma di pigna di meno di 1 cm. di lunghezza e 150 gr. di peso, situata a livello della parete posteriore del terzo ventricolo, a cui è collegata tramite un peduncolo, come l’ipofisi.
L’organo pineale sembra, quindi, che rappresentasse un occhio dorsale filogeneticamente molto antico. Risalendo la scala evolutiva, al di sopra degli anfibi la pineale diviene essenzialmente ghiandolare, sebbene rimangano cellule sensitive ancora poco conosciute, e l’ormone principale da essa prodotto è la melatonina che viene secreta ritmicamente seguendo i cicli luce-buio dell’ambiente esterno, anche se la ghiandola non è più in contatto diretto con la fonte esterna di luce (ad esempio, nell’uomo).
E' come se la sua funzione visiva, prima diretta, fosse stata in grado di interiorizzarsi.
La pineale riceve, infatti, un’innervazione afferente dal ganglio cervicale superiore del simpatico, a sua volta collegato all’occhio.
La percezione del buio provoca sintesi di melatonina che, inducendo l’aggregazione dei granuli di melanina nella cute, schiarisce la pelle.
La luce, invece, diminuisce gli impulsi nervosi del simpatico e blocca la sintesi di ormone: bastano pochi minuti di esposizione a una luce brillante perché si determini una caduta dei livelli circolanti di melatonina.
L’integrità di questa via è indispensabile per l’attività della ghiandola. Seguendo i ritmi luce-buio, l’epifisi infatti si sincronizza e sincronizza tutto l’organismo sui ritmi del giorno e della notte, delle stagioni ecc., cioè sui ritmi del macrocosmo che la circonda.
L'epifisi sarebbe perciò un «sincronizzatore» interno-esterno, una guida della struttura temporale dell’organismo: indipendentemente dalla visione, l’organismo sa se è giorno o notte o in quale periodo dell’anno siamo.
L’epifisi, contemporaneamente, detta il ritmo delle «stagioni» interne: diminuisce la melatonina nella pubertà, durante l’ovulazione, in menopausa, nella vecchiaia. Tutto ciò attraverso una trasformazione dell’impulso luminoso che, materializzandosi, diviene impulso ormonale.
Luce, impulso nervoso, epifisi, ormone: la funzione coagulante di Saturno degli alchimisti.....il terzo occhio dell’Oriente.
Allo stato attuale della ricerca, i bioritmi epifisari sembrano controllare il tono dell’umore, l’equilibrio ormonale, l’equilibrio immunitario e sembrano avere azione antistress. In sintesi, le funzioni organiche corrispondenti a questo chakra sono il controllo sull’equilibrio dell’intero psico—soma, il controllo della capacità di autoriconoscimento o mantenimento dell’integrità della propria individualità, l’interiorizzazione di capacità visive prima dirette all’esterno, con maggiore possibilità di autoregolazione e autosincronizzazione.
Come sempre, troviamo una corrispondenza tra il simbolismo del chakra e le funzioni degli organi compresi nella sua ruota.
Se le funzioni sono queste, ancor più si comprende come l’apertura di questo chakra permetta di avere la coscienza e il controllo sull’intero microcosmo umano, di sollevare il velo di maya, le illusioni, liberando l’individuo dallo «spettro del drago uroborico», cioè l’incoscienza totale, che sempre tenta di riassorbirlo in sé.
Tavola riassuntiva Ajna
Funzione Psicologica: Capacità di mettere in pratica le idee, di comprendere e visualizzare i concetti mentali
Associazione Sensoriale: Tutti, e le Percezioni Extrasensoriali
Sistemi Associati: Parte inferiore del cervello, occhi
Nervi: Plesso Carotideo
Ghiandole: Ipofisi
Elementi: Luce
Colori: Indaco
Nota Musicale: La
Cristallo: Tutte le pietre indaco/viola, in particolare l'Ametista, la Fluorite
Profumo: Menta, Mirra
Bijamantra: Aum
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
VII° chakra Sahasrara, il "loto dai mille petali"
È localizzato al di sopra della fine di sushumna; qualche maestro specifica nel mezzo del cervello, qualche altro dice subito sotto il brahmarandhra, mentre altri lo collocano subito sopra di questo.
Sahasrara appare come un loto di colore bianco dai luminosi filamenti, con «mille petali» in cui sono inscritte tutte e cinquanta le lettere dell’alfabeto sanscrito ripetute 20 volte. All’interno risplende tra freddi raggi argentei la luna piena e al suo interno è inscritto il triangolo che alberga il grande vuoto, origine e dissoluzione di ogni cosa.
Qui risiede Paramashiva, simbolo dell’identificazione fra l’anima individuale e l’Anima universale, fra l’uomo e Dio, realizzazione della suprema beatitudine che consegue alla distruzione dell’ignoranza e della falsa visione operata da Paramashiva stesso quale sommo guru che istruisce lo yogin devoto. Il guru terreno che ha condotto il discepolo alla soglia della liberazione si identifica qui con Paramashiva stesso assiso sull’hamsa, l’ocacigno.
L’ hamsa ripropone il tema dell’unificazione e del superamento delle polarità per realizzare l’Unità ineffabile: il Mistero ultimo si divide in due, maschile e femminile, spirito e natura, «ham» e «sa», «io» e «questo». Il simbolismo della riunificazione è ulteriormente sottolineato in sahasrara dalla presenza dei mandala della luna e del sole. Nell’hamsa sono contenute tutte le forme che il Divino assume e ogni devoto troverà quella cara al suo cuore: per gli shivaiti è Shiva, per i vishnuiti è Vishnu, per i devoti della Dea è la Shakti, per altri è Vishnu-Shiva...
La Shakti si manifesta in sahasrara nel triangolo inscritto nel mandala della luna come Amakala, il sedicesimo asterismo lunare: dea lucente e sfolgorante, di colore solare, stilla verso il basso un continuo rivolo di ambrosia. All’interno di Amakala, immaginata come falce lunare e quindi concava, risiede Nirvanakala, anch’essa in forma di mezzaluna, rosseggiante come il sole, cuore di tutti gli esseri e dispensatrice di divina conoscenza. Dentro di questa, nel mistico punto che simboleggia il vuoto da cui tutto origina e a cui tutto ritorna, si trova la Nirvana Shakti, abbacinante come dieci milioni di soli, colei prima della quale non esisteva nulla: è qui che Shiva si unisce con Kundalini ed è da questa unione che scaturisce il nettare dell’ambrosia poi stillante verso il basso.
Lo yogin deve dunque fare ascendere Kundalini dal muladhara fino al sahasrara, facendole attraversare tutti i chakra fino a condurla dal suo signore, Paramashiva, affinché si unisca con lui e possa delibare l’ambrosia generata dalla loro unione. Quindi la dea in forma serpentina deve essere fatta ridiscendere in muladhara e, se nell’ascesa ella aveva riassorbito gli elementi di un chakra in quello successivo fino a dissolvere tutta la manifestazione nel vuoto contenuto nel triangolo di sahasrara, ora, ridiscendendo, emana nuovamente i chakra e tutto ciò che essi costituiscono e investono, infondendo loro nuova vita, ma soprattutto permeandoli di coscienza.
Attraverso i chakra lo yogin ha esplorato se stesso e il mondo: è entrato nei meccanismi del corpo per riappropriarsene in maniera piena e totalmente volontaria, è sceso oltre la soglia del conscio nelle tenebre dell’ Uroboros primitivo, l’inconscio collettivo, per recuperare la sua coscienza individuale. Ma non si è fermato a questo; ha osato andare oltre, sacrificando il suo io psico-fisico per trascendere se stesso.
Così ha attinto l’infinita Coscienza che sta oltre l’umano ed ha aperto il suo terzo occhio affacciandosi su un’altra dimensione.
Di questo incredibile viaggio al di là del finito resta una cronaca esoterica, raccontata dai simboli, poiché soltanto essi, che provocano risonanze, sono dinamici e trasformano, possono esprimere ciò che non può essere comunicato altrimenti.
Nota.
Non si è inserita alcuna trattazione sul chakra sahasrara, poiché si segue la tradizione della scuola «yogica indiana» che colloca l’ultimo chakra sopra la testa e quindi fuori della dimensione fisica vera e propria.
Tavola riassuntiva di Sahasrara
Funzione Psicologica: Integrazione tra la personalità globale, la vita e gli aspetti spirituali dell'umanità, coscienza universale
Associazione Sensoriale: Empatia
Sistemi Associati: Corteccia cerebrale, sistema nervoso centrale
Nervi: Cervello
Ghiandole: Pineale
Elementi: Pensiero
Colori: Nessuno
Nota Musicale: Si
Cristallo: Tutte le pietre bianche, in particolare il Quarzo
Profumo: Alloro, Incenso, Loto
Bijamantra: Ne suono ne colore
Edited by rubinia - 21/11/2006, 13:49