"L’Essere puro, l’Assoluto, qualunque sia il nome con cui lo si vuole indicare: il Sé (ȃtman), Brhaman, l’incondizionato, il trascendente, l’immortale, l’indistruttibile, il Nirvȃna, ecc." - (Mircea Eliade; Lo Yoga, immortalità e libertà).
Non vorrei parafrasare ogni idea dalla quale ho preso spunto per darle validità.
Apro questa discussione per portare una mia teoria, valida o meno che sia, che credo possa costituire una via diversa all'illuminazione. E ci tengo particolarmente, perché il mio percorso di ricerca interiore è cominciato pressappoco dieci anni fa su questo forum, ed ora ritorno per trarre le conclusioni.
Apro questa discussione qui perché la mia "teoria" ha a che fare con l'energia interiore in senso pratico.
È quindi questa cosa che sto per dirvi un pensiero, forse per molti banale.
All'epoca pur essendo un ragazzino (oggi ho 26 anni) mi sentivo molto più assorto in questo tipo di pensieri. La fede che ho sempre avuto verso Dio, mi portò a intuire che qualsiasi segnale ricevessi dalla vita, dalle cose che mi circondano, non sono segni casuali ma forse, in alcune occasioni, un messaggio di aiuto.
Senza dilungarmi troppo arrivai a pensare di dover concentrare la mia energia interiore sempre, in ogni istante della giornata. Arrivai ad un periodo nel quale mi svegliavo e quando mi svegliavo ero già concentrato, sentivo il calore della mia energia su tutto il corpo, e mi chiedevo se lo avessi fatto prima di prendere coscienza o se avevo mantenuto quello stato durante il sonno.
Ora io sto qui a scrivervi da un computer, non sono un illuminato, non sono un eremita, non mi sono liberato dalla Samsara, eppure vi posso dire di aver vissuto un'esperienza nella quale io mi sentivo totalmente distaccato da me stesso, in cui la mia coscienza era consapevole di essere più vasta dei confini del mio corpo.
Questo è un concetto che tutti possiamo concepire in una disquisizione filosofica, ma avere coscienza di queste cose avendone la sensazione, arrivare a guardarsi (metaforicamente) in terza persona, avendo quasi l'idea che il corpo fosse una specie di burattino in un gioco, avendo la coscienza di dover aspettare di finire questa vita per andare oltre, arrivando a pensare che avrebbero potuto anche spararmi o uccidermi, il mio corpo sarebbe caduto, ma io sarei rimasto in piedi.
Queste sono cose che tu che stai leggendo non pensi tutti i giorni, forse non le hai mai pensate. Ed io avevo 16 anni. Perché avrei dovuto pensare questo di me stesso??
Col tempo mi sono rammollito, mi sono abbandonato alle cazzate, non ho mai perso la mia fede e la mia ricerca del vero, ma ho perso questa capacità di concentrarmi così tanto per così tanto tempo. E dopo anni ed anni ho scoperto che qualsiasi cosa avessi pensato, ed anche di più, era tutto nella filosofia induista.
Io non capivo per niente cosa avevo vissuto, pur avendolo vissuto per molto tempo.
Ora penso di aver realizzato cosa avessi fatto. La dottrina yoga consta di una serie di tecniche da utilizzarsi in varie fasi del processo che porta uno yogin alla liberazione. Tra queste la prima tra tutte è la concentrazione su di un solo punto (e qui prendo spunto dallo stesso libro citato prima), pratica definita Ekagrata. In effetti concentrare la propria energia su se stessi equivale a concentrare il proprio pensiero su un unica cosa. Ma cosa succede se quell'unica cosa su cui ci si concentra, su cui si medita rappresenta l'essenza delle cose? Io non vi ho raccontato tutto della mia esperienza, ma solo da un certo momento in poi cominciai a percepire non solo la mia energia, ma quella intorno a me, e ad entrare in quello stato mentale.
Questo mi ricorda un racconto del Vishnu Purana, I, 16-20, dove si racconta di questo ragazzino Prahlada, figlio del demone Hiranyakashipu, che meditando su Vishnu (io sono induista Shivaita tra l'altro
), quindi sull'essenza di tutte le cose, arrivò a definirsi lui stesso Vishnu, e nessuna delle cose appartenenti alla realtà potevano scalfire quel ragazzo in quella storia, perché in esse vi era Vishnu. Ovviamente questa storia va presa per il suo significato allegorico, però riflette alla meglio cosa voglio dire!
Cosa succede se invece di concentrarci su un punto, su un vaso, sul fuoco, provandone a carpirne l'essenza, provando a trovarci il divino, cosa succede se in effetti ci concentriamo direttamente sul divino? Cosa succede se proviamo a definire l'atman, il se, l'essere supremo di cui parlava nella sua prefazione Mircea Eliade, e ci concentriamo solo su quello? Cosa accade se ci concentriamo sul soffio vitale che ci rende divni e lo facciamo senza sosta?
Io credo che ci ricongiungiamo alla realtà, a Dio.
Io potrò sbagliarmi su questa cosa, e pongo un argomento di discussione apposta. Però più volte ho meditato, e dopo dei mesi ho pensato che forse stavo giudicando con superbia il gioco postoci da Dio, che forse questo gioco della vita da cui gli yogin hanno cercato di liberarsi, è fatto apposta per farci capire, o per far capire a chi cerca la verità. Ed io credo che non c'è bisogno di annullare se stessi per raggiungere il vero Sé, io credo che nella vita, nella realtà, ci sia già la chiave per l'illuminazione.
Io sono stato un ragazzo, sono tutt'ora musicista, appassionato della musica; sono diventato Infermiere. Non so quanto io possa fare per aiutare davvero chi è intorno a me. Io spero di avervi lasciato un bel messaggio.